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Profuma d’Oriente il fiore per il palato - Tulipani del Siam - Curcuma longa

Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre i mercati generali di Castellammare di Stabia si riempiono di Tulipani del Siam. Curcuma longa è questo il suo nome scientifico.

Certo è più facile trovare la Curcuma nei testi di medicina e di gastronomia che nei giardini o nelle enciclopedie di piante ornamentali eppure i fiori di questa preziosa spezia sono una realtà degna di nota nel settore florovivaistico. La richiesta dell’elegante fiore a spiga è costante e in aumento. Da un punto di vista commerciale è molto apprezzato sia per la varietà di colori, bianco, verde, rosa, fucsia, sia per la lunga durata. Il fiore di Curcuma reciso in acqua dura circa dieci giorni.

curcumaMi diverte vedere i visi stupiti dei clienti quando faccio notare che la corolla esotica innanzi ai loro occhi è proprio il fiore del Curcuma la spezia principale che rende di colore giallo il curry!

Il curry è una miscela di spezie ricavate da tante piante, sta nella maestria dei cuochi asiatici bilanciarle e abbinarle cambiando così il sapore degli infiniti piatti del sud est asiatico.

Lo zafferano d’India così chiamato deriva dall’arabo kurkum, “giallo “ in lingua araba.

Sono appena seimila anni che i rizomi di questo fiore vengono fatti bollire parecchie ore, seccare in grandi forni, e poi schiacciati fino ad ottenere la polvere gialla dalle mille virtù. Viene infatti utilizzato come colorante non solo di cibi ma anche di tessuti e capelli, nella cosmesi è una vera panacea per non parlare degli eccellenti risvolti come farmaco.

 Il Curcuma viene considerato la regina delle piante medicinali, ha straordinarie capacità di protezione del fegato, antiossidante, antisettico,usato nelle terapie antitumorali e come ultimo studio della American Heart Associaton il curcuma è in grado di aiutare le cellule celebrali a rigenerarsi dopo un ictus.

 Marco Polo conobbe la spezia durante il suoi viaggi in Cina e non dimenticò di citarla nel suo libro il Milione “…vi nasce un erba,che produce un frutto che fa l’effetto ed opera come se fosse vero zafferano,così come nell’odore,come nel colore,e non dimeno non è zafferano ed è molto stimata ed adoperata da tutti gli abitanti nè loro cibi e per questo è molto cara”

Intanto al mercato decido l’acquisto di una partita di Curcuma con il produttore Leopoldo del Gaudio anche Presidente del mercato dei fiori Flora Pompei.

Squilla una suoneria ! Estraendo il cellulare dalla tasca della giacca…

“Mi scusi”mi dice “ho dimenticato di spegnere la sveglia.”

“Presidente la sua sveglia dorme più di lei !”

“Che ci vuol fare siamo nati per lavorare “

“Ma “rispondo “Presidente, è vero siamo nati per lavorare, ma siamo nati soprattutto per creare il bello e donarlo agli altri è questa la nostra forza.”

I produttori hanno investito molto nelle serre ai piedi del Vesuvio. Non c è da meravigliarsi, la geografia del luogo, la mite temperatura, l’abbondanza di macerati vulcanici (essenziale per i Curcuma)sono tutte componenti ideali per avere fiori dalle corolle spettacolari.

I fiori sono stati caricati nel furgone,all’uscita del casello di Castellammare il maestoso Vesuvio è lì davanti a me,ogni volta una luce nuova, una nuvola, un raggio di sole, gli da un aspetto diverso.

Questa è la mia terra una terra ricca di contraddizioni. Le contraddizioni sono la linfa per creare sempre nuove cose, nuove composizioni floreali, miscelare parole e note per far cantare le persone, sperimentare nuovi piatti in cucina!

A pochi km dal mercato dei fiori i fratelli Scarpato hanno aperto “La bottega del mare”, un point per veri degustatori di pesce azzurro. Ogni piatto è veramente un concentrato di cultura mediterranea .

Ispirata dal fiore e dalla spezia del Curcuma ho voluto metterli alla prova ! “Allora me lo preparate un bel piatto al curry per i lettori del Floricultore?”

Raffaele Scarpato la mente di questo progetto gastronomico non è solo pescatore e cuoco, nella sua rete possiamo trovare anche una laurea in biologia marina. La proposta viene accolta in paranza!

Le sorelle Adriana ed Elena con il giovane nipote Mimmo si mettono all’opera sotto le direttive di Raffaele. I suoi piatti raccontano la vita di pescatore, il profumo degli scogli, le coste della Sicilia, del nord Africa fino alla Turchia. Con il suo bagaglio culturale ha sperimentato tutti gli abbinamenti alchemici gastronomici del Mare Nostrum. Le spezie della terra si amalgamano ai doni del mare creando uno stato di trace sinestetico, una fusione di tutti i sensi! Sia nella crescita di un fiore coccolato ogni giorno dai produttori così un piatto preparato con amore dal cuoco si può trovare tutta la benevolenza del mondo.

cibo e fiori

Ecco cari lettori il piatto è pronto! Cus cus al curry con frutti di mare e ceci! Un sapore che avvolge il palato con un suo aroma immediato ed esotico. I fiori del Presidente ne sono la cornice perfetta!

C’è gente su questo pianeta che crea il bello con grande passione e la passione è contagiosa, crea una sorta di psico magia!

Che cos’è la felicità? Non possedere le cose, ma provare la gioia di viverle, condividerle e trasmetterle.

 

Annie Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 

 


 
Caffè: storia, cultura e piaceri

La bevanda che ormai sentiamo tutti come “italiana”, non solo deriva da una coltivazione che viene dall’Estero, com’è noto, ma è stata valorizzata, nel suo consumo, da reali “d’importazione” come i D’Asburgo-Lorena

 

P aolo Della Mura quella mattina al mercato dei fiori di Castellammare di Stabia (NA) aveva mantenuto la promessa. Circa un anno fa gli avevo chiesto di procurarmi delle piantine di caffé. Sorridente mi invitò nel suo stand: «Allora bella signora, che ne dite, stanotte ne abbiamo scaricato un tir intero». Battendo le mani per la gioia esclamai: «Paolo, beato chi ti sposa!». Rispose: «Signora, sono single ma non per mia scelta». Ribattei: «Vedrai che non passa l’anno che ti rubano, uomini di parola, al giorno d’oggi, sono una vera rarità!».
E non si trattava di una piantina qualunque: gli olandesi, naturalmente attenti alla promozione e al packaging, l’avevano inserita in una divertente tazza da caffé americano, la famosa “mug”, e l’effetto è stato subito recepito dai clienti. Neanche il tempo di esporle in vetrina, sono andate letteralmente a ruba!
TazzinacaffeInutile dirlo, il mondo si ferma davanti ad una tazza di caffé. Basti pensare che, ogni anno, sul pianeta si bevono 400 miliardi di tazze, una cifra incredibile: per avere una vaga idea immaginate uno stadio di calcio come se fosse la tazzina più grande del mondo!
Quelli del caffé sono i semi più costosi del mondo, hanno un valore commerciale superiore a quello di derrate essenziali, come frumento, granoturco, riso. Il giro d’affari su scala mondiale ha cifre da capogiro.
Penso che per molti di noi bambini degli anni ’70 il primo ricordo del caffé si ricollega all’immagine della Moka troneggiante sul fuoco in cucina. A quell’epoca la vecchia caffettiera Napoletana, la cosiddetta “Cuccumella”, era già stata sostituita da tempo. Abbandonata in uno stipo, diventò per me un gioco nel montare e smontare i pezzi. Inconsapevolmente mi trovavo tra due oggetti fantastici.
La prima, la Moka, è figlia di Alfonso Bialetti, un artigiano intuitivo di Crusinallo (VB). Bialetti, imparando a fondere l’alluminio in Francia, creò nel 1933 un oggetto di art déco unico. Non avrebbe mai pensato che la sua Moka sarebbe stata usata da tutta l’Italia!

La seconda invece, la Napoletana, era tutto il mondo teatrale che la famiglia De Filippo, attraverso le commedie, aveva infuso nella nostra quotidianità: “Napoli milionaria”, “Natale a casa Cupiello”, “Fantasmi a Roma”, sono solo alcune delle commedie dove l’atto di prendere il caffé è vera scena teatrale, poesia, cultura, filosofia.

 «Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo, una tazzina di caffé presa tranquillamente qui fuori in compagnia di una persona piacevole…», diceva Edoardo de Filippo in “Questi fantasmi”.

Quante volte, incontrando una persona per strada, noi italiani diciamo: «Andiamo a prenderci un caffé». Questo si chiama civiltà, è uno stile di vita che il mondo ci invidia e ammira.

Una gentil donna inglese, Anne Miller, nel 1771 descrisse dettagliatamente in una lettera un ballo alla corte di Re Ferdinando di Borbone e Maria Carolina presso la Reggia di Caserta: «[…] Quando la Regina si accorse che tutta la compagnia aveva cenato, si alzò e si avviò verso la sala del caffé, e così fecero quelli che ne desideravano. La sala è attrezzata proprio come un caffé di Parigi […] alcuni giovanotti con berretti e giacche bianche fanno e servono il caffé».

Ma chi è questa regina così attenta ad offrire il caffé ai suoi ospiti? Maria Carolina D’Asburgo-Lorena, sposa al Re di Napoli e sorella di Maria Antonietta di Francia.
A queste due sorelle austriache dobbiamo il piacere della nostra “tazzulella ’e café”. Furono proprio loro a lanciare in Europa la moda di bere l’infuso del chicco macinato!
Non solo, furono ancora loro a creare quel connubio unico fatto di caffé e cornetto delle nostre memorabili colazioni mattutine.

Eh già, il cornetto (“kipferl”, in tedesco “mezza luna “) fu inventato dai fornai viennesi per festeggiare la sconfitta dell’assedio Ottomano alle porte di Vienna. Mangiare la mezzaluna simbolo del mondo mussulmano significava metaforicamente la vittoria. Seguì la traduzione in francese “croissan” (luna crescente).

I napoletani invece attribuirono al nome del dolce viennese, portato dalla loro nuova Regina, il simbolo scaramantico del cornetto portafortuna! Paradossalmente da una sconfitta nasceva un unione indissolubile: il cornetto sarà pure un dolce cristiano ma il caffé è totalmente mussulmano!
Parigi, Vienna, Venezia, Napoli, il primo bar, bottega del caffé o coffa, come viene ancora chiamato in Medio Oriente, nasce nel 1554 a Costantinopoli, l’odierna Istanbul. Da questa città veniva Birsen Saylam Genec. Fummo fortunati non solo di conoscerla ma anche di averla come vicina di casa. Lei, bella come la principessa di “Mille e una notte”, non solo preparava il caffé turco «nero come l’inferno, forte come la morte, dolce come l’amore» ma leggeva anche i fondi ottenuti con la bevanda.

Facevo “carte false” per spiare gli incontri ai quali veniva invitata mia madre insieme ad altre signore: il caffé veniva fatto bollire in un pentolino speciale, detto “jesvee”, e poi versato nelle tazzine. Bisognava berlo lentamente fino a quando i fondi non si sentivano arrivare vicino alle labbra. Allora e solo allora le tazzine venivano capovolte sul piattino e fatte girare per tre volte verso sinistra. Ricordo che tra tutte le tazze solo una diede delle figure chiare, una donna in piedi e una persona in ginocchio. La tazzina era quella di una signora che aveva un fratello gravemente malato. Si commosse, si riconobbe in quella donna, lei in piedi che con tutte le sue forze cercava in ogni modo di rialzare il fratello, prostrato dalla malattia. Nessuno sapeva del dolore che l’affliggeva, tutte le donne presenti si strinsero attorno a lei con grande solidarietà.

Anny Pellecchia

Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore


 
Giardini, amore & fantasia

 I veri giardini nascono dove c’è amore e fantasia. La replica meccanica e stereotipata rischia di creare luoghi-non-luoghi, lontana eco di quella passione che tutto muove e trasforma

Era una domenica come tante, i bambini giocavano in giardino. I giochi quelli di sempre: rincorrersi, bici, macchinine. Quando Matilde, la mamma degli amici di mio figlio, venne a riprenderseli, salutandoci ci disse: «Perché non organizziamo una gita a Disneyland Paris?».

 

La cosa non mi entusiasmò più di tanto, ma il “sì” all’unisono dei bambini mi convinse ad accettare la proposta. Detto fatto, una settimana dopo eravamo in viaggio e come dice l’antropologo Marc Augè: “Il percorso del turista coscienziosoè irto di ostacoli che egli deve superare con allegria perconvincersi che sa dove va e che ne è felice”.

 

Non è che ero affetta dal disprezzo che di solito gli intellettuali francesi hanno per i divertimenti importati dall’America, ma semplicemente non amo i mondi artificiali e le file diqualunque natura esse siano (di una giostra come di un ufficio pubblico). Comunque la pensavo, mentre compravo i biglietti via web Disneyland ci attendeva per offrirci uno spettacolo in tutto e per tutto simile a quello che vedevo.

 

Disneyland

 

L’unica consolazione per una fiorista-giardiniera erano i “giardini bizzarri” del famoso paesaggista dei parchi Disney, Morgan “Bill” Evans (1910-2002) che, nonostante laveneranda età, riuscì a sovrintendere anche i lavori del parcoparigino.

Qualcosa di fantastico avvenne nella vita di questo vivaista specializzato quando nel 1950 Walt Disney lo chiamò personalmenteal telefono proponendogli di abbellire con piante e fiori il primo parco di divertimenti che stava costruendo vicino a Los Angeles. Disney fu molto chiaro: «Non si può avere Jungle Cruise senza un impianto realistico che venga dalla giungla, non si può andare a Frontierland senza deserto messicano.

In ogni territorio di attrazione le piante devono essere parte dello spettacolo». Lo scopo era di rendere credibile,piacevole, rassicurante, entusiasmante al massimo la visita a Disneyland ad ogni visitatore!          

Evans accettò la sfida (e chi di noi del settore non l’avrebbe fatto!) e in meno di un anno trasformò 80 ettari di aranceti californiani in giardini di fantasia. Fece arrivare alberi colossali, specie subtropicali, rampicanti, bambù, cespugli da ogni dove. Disney ordinava alla segretaria: «Non fatemi vedere iconti! Voglio lavorare su qualcosa di vivo, che continua acrescere. Gli investitori devono crederci!».

Evans lavorava senza sosta. Intanto, nello stesso momento in cui sorgeva Disneyland, iniziavano i lavori per la realizzazione delle autostrade californiane. I bulldozer, senza tanti complimenti, distruggevano qualunque cosa intralciasse il “tracciato ingegneristico”. Come ogni buon vivaista, Evansrecuperò, salvando da morte sicura, moltissimi alberi. Trasportati nel parco li ripiantò e ancora oggi possono essere ammirati per la gioia dei naturalisti.

Disney chiese a Evans piante scolpite di animali (Dumbo, Topolino ecc.) simili a quelle viste in Italia durante un viaggio. Anche questa volta, Evans non si arrese, iniziò con due animali facili, piegò un cipresso e realizzò un coccodrillo e con un cespuglio un ippopotamo, come inizio poteva andare!

Ma il giardino più riuscito fu sicuramente “Jungle Cruise”: un fiume artificiale circondato da palme, ficus, alberi di 21 metri e i poveri aranci piantati a testa in giù per dare l’illusione che le loro radici nodose fossero rami.

Quando Walt lo vide disse: «La miglior giungla finta maledettamente vera!».

Era nato Disneyland, il primo parco di divertimento al mondo basato sulla costruzione minuziosa di un mondo reale da un’idea immaginata.

Ecco ora io mi trovavo a Disneyland Paris, potevo vedere quel milione e mezzo di arbusti, 460 mila piante da fiore, 20 mila alberi, 1.000 metri quadrati di prato, 8.533 metri quadrati di fioriture, la gigantesca aiuola a forma di faccia di Topolino, ripiantata per ben nove volte l’anno da certosini giardinieri.

Tutto a posto d’accordo, ma c’era un problema: noi non eravamo a Disneyland quello vero, ma in una fotocopia di una fotocopia di un’altra fotocopia …eravamo in un “nonluogo”.

Uno spazio immenso in cui chi lo attraversa non può leggere nulla. La copia è anonima, non ha passato né futuro.

Alla fine, la deambulazione perpetua, la musica incessante, il saliscendi dalle giostre sfiancò sia noi adulti che i più piccoli.

Una volta a casa i bambini ritornarono a giocare in giardino, un luogo realizzato dalla passione di mio padre per la natura dove far crescere noi figlie e poi i nipoti. I veri luoghi nascono solo dove c’è amore e fantasia …del resto lo diceva anche il papà di Topolino: «Ho sempre cercato di immaginare un posto dove portare le mie due figlie nei pomeriggi di sabato e domenica, un posto però dove potevo divertirmi anch’io».

 

Anny Pellecchia

 

 

Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore