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Giardini, amore & fantasia

 I veri giardini nascono dove c’è amore e fantasia. La replica meccanica e stereotipata rischia di creare luoghi-non-luoghi, lontana eco di quella passione che tutto muove e trasforma

Era una domenica come tante, i bambini giocavano in giardino. I giochi quelli di sempre: rincorrersi, bici, macchinine. Quando Matilde, la mamma degli amici di mio figlio, venne a riprenderseli, salutandoci ci disse: «Perché non organizziamo una gita a Disneyland Paris?».

 

La cosa non mi entusiasmò più di tanto, ma il “sì” all’unisono dei bambini mi convinse ad accettare la proposta. Detto fatto, una settimana dopo eravamo in viaggio e come dice l’antropologo Marc Augè: “Il percorso del turista coscienziosoè irto di ostacoli che egli deve superare con allegria perconvincersi che sa dove va e che ne è felice”.

 

Non è che ero affetta dal disprezzo che di solito gli intellettuali francesi hanno per i divertimenti importati dall’America, ma semplicemente non amo i mondi artificiali e le file diqualunque natura esse siano (di una giostra come di un ufficio pubblico). Comunque la pensavo, mentre compravo i biglietti via web Disneyland ci attendeva per offrirci uno spettacolo in tutto e per tutto simile a quello che vedevo.

 

Disneyland

 

L’unica consolazione per una fiorista-giardiniera erano i “giardini bizzarri” del famoso paesaggista dei parchi Disney, Morgan “Bill” Evans (1910-2002) che, nonostante laveneranda età, riuscì a sovrintendere anche i lavori del parcoparigino.

Qualcosa di fantastico avvenne nella vita di questo vivaista specializzato quando nel 1950 Walt Disney lo chiamò personalmenteal telefono proponendogli di abbellire con piante e fiori il primo parco di divertimenti che stava costruendo vicino a Los Angeles. Disney fu molto chiaro: «Non si può avere Jungle Cruise senza un impianto realistico che venga dalla giungla, non si può andare a Frontierland senza deserto messicano.

In ogni territorio di attrazione le piante devono essere parte dello spettacolo». Lo scopo era di rendere credibile,piacevole, rassicurante, entusiasmante al massimo la visita a Disneyland ad ogni visitatore!          

Evans accettò la sfida (e chi di noi del settore non l’avrebbe fatto!) e in meno di un anno trasformò 80 ettari di aranceti californiani in giardini di fantasia. Fece arrivare alberi colossali, specie subtropicali, rampicanti, bambù, cespugli da ogni dove. Disney ordinava alla segretaria: «Non fatemi vedere iconti! Voglio lavorare su qualcosa di vivo, che continua acrescere. Gli investitori devono crederci!».

Evans lavorava senza sosta. Intanto, nello stesso momento in cui sorgeva Disneyland, iniziavano i lavori per la realizzazione delle autostrade californiane. I bulldozer, senza tanti complimenti, distruggevano qualunque cosa intralciasse il “tracciato ingegneristico”. Come ogni buon vivaista, Evansrecuperò, salvando da morte sicura, moltissimi alberi. Trasportati nel parco li ripiantò e ancora oggi possono essere ammirati per la gioia dei naturalisti.

Disney chiese a Evans piante scolpite di animali (Dumbo, Topolino ecc.) simili a quelle viste in Italia durante un viaggio. Anche questa volta, Evans non si arrese, iniziò con due animali facili, piegò un cipresso e realizzò un coccodrillo e con un cespuglio un ippopotamo, come inizio poteva andare!

Ma il giardino più riuscito fu sicuramente “Jungle Cruise”: un fiume artificiale circondato da palme, ficus, alberi di 21 metri e i poveri aranci piantati a testa in giù per dare l’illusione che le loro radici nodose fossero rami.

Quando Walt lo vide disse: «La miglior giungla finta maledettamente vera!».

Era nato Disneyland, il primo parco di divertimento al mondo basato sulla costruzione minuziosa di un mondo reale da un’idea immaginata.

Ecco ora io mi trovavo a Disneyland Paris, potevo vedere quel milione e mezzo di arbusti, 460 mila piante da fiore, 20 mila alberi, 1.000 metri quadrati di prato, 8.533 metri quadrati di fioriture, la gigantesca aiuola a forma di faccia di Topolino, ripiantata per ben nove volte l’anno da certosini giardinieri.

Tutto a posto d’accordo, ma c’era un problema: noi non eravamo a Disneyland quello vero, ma in una fotocopia di una fotocopia di un’altra fotocopia …eravamo in un “nonluogo”.

Uno spazio immenso in cui chi lo attraversa non può leggere nulla. La copia è anonima, non ha passato né futuro.

Alla fine, la deambulazione perpetua, la musica incessante, il saliscendi dalle giostre sfiancò sia noi adulti che i più piccoli.

Una volta a casa i bambini ritornarono a giocare in giardino, un luogo realizzato dalla passione di mio padre per la natura dove far crescere noi figlie e poi i nipoti. I veri luoghi nascono solo dove c’è amore e fantasia …del resto lo diceva anche il papà di Topolino: «Ho sempre cercato di immaginare un posto dove portare le mie due figlie nei pomeriggi di sabato e domenica, un posto però dove potevo divertirmi anch’io».

 

Anny Pellecchia

 

 

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