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Iris, parafulmine dell’anima

Iris, parafulmine dell’anima

Gli iris sono fioriti! Immancabili in negozio, mio padre non ne poteva far a meno, ogni fascio o composizione veniva abbellito con quel bel blu del cielo.

La specie più comunemente coltivata è coltivata  è l' Iris xiphioides, ma mio padre, instancabile cercatore di bello, ne aveva piantati una bella quantità di altra varietà all’ingresso del giardino di casa. Ormai sono più di cinquant’anni che i grandi Giaggioli (Iris germanica) blu-violacei annunciano l’arrivo della dolce primavera.

Iris la messaggera degli Dei, figlia di Taumante ed Elettra scendeva dal cielo lungo l’arcobaleno che da lei prendeva il nome, si materializzava innanzi ai miei occhi di bambina con lo sbocciare di quei morbidi fiori dai petali striati di varie gradazioni.
La storia degli Iris si perde della notte dei tempi, di origine asiatica gli Egizi già li coltivavano non solo per il profumo ma anche per le proprietà medicamentose e per il colore “verde Iris” ottenuto dalla pestatura dei fiori.

Con tutta probabilità gli arabi li introdussero in tutto il bacino del mediterraneo. Il bel fiore divino agli dei è stato fatto proprio dalle civiltà d’Europa.

Il Giglio della Bibbia, il Giglio di Francia, il Giglio di Firenze, il Giglio di San Marco, Il Giglio Borbonico del regno delle due Sicilie… sono in realtà Iris chiamati impropriamente Gigli. Un errore forse dovuto al fatto che entrambi appartengono allo stesso gruppo botanico, o forse perché in pieno medioevo era facile cadere in errore non avendo a portata di mano libri da consultare.
Immaginiamo solo per un attimo il re dei Franchi Clodoveo nel 507 durante la guerra vicino Poitiers combattere e vincere gli acerrimi nemici Visigoti. In quel momento terribile di paura ma anche di gioia per la vittoria vide sulle sponde di un fiume una meravigliosa distesa di fiori di gigli. Erano in realtà Giaggioli ed entrano come segno divino nello stemma della Corona di Francia.

Da quel giorno fino ad oggi vengono indicati come Gigli di Francia!
Lo stesso errore accadde con il Giglio dello stemma di Firenze, l’Iris, che cresce da sempre lungo la valle dell’Arno. La prima insegna fiorentina fu il Giglio bianco, in campo rosso, più tardi nel 1251, dopo la vittoria dei Guelfi i colori si invertirono.

Eppure la struttura iconografica dell’Iris è chiara, la conformazione è il tre: tre petali interni eretti, tre petali esterni ricadenti. In tutti gli stemmi il petalo centrale prende la forma di una picca, proprio a significare la forza della guerra e della vittoria sul nemico.
Solo Van Gogh nella sua pazzia li riconobbe come Iris. Durante il suo ricovero per un tracollo nervoso all’ospedale di Saint-Remy- de Provence, la pittura gli venne in soccorso. La bellezza della natura che circondava l’ospedale rapì i suoi occhi.

Gli Iris che ammirava divennero la medicina del suo animo, la mente si ossigenò di bellezza e pace trasferendo tutto ciò in dipinto. Immergendosi nella grande tela assistiamo al senso panico della grandiosità della Natura: la leggerezza dell’aria, il profumo di fiori, la luce del sole, la morbidezza dei petali, la guarigione interiore non solo del pittore ma anche di noi stessi. Scriverà al Fratello Theo “Gli Iris sono il parafulmine per la mia malattia”. 
In negozio per me gli Iris sono tutti gli Iris di Van Gogh. Ogni volta inserendo gli Iris nei lavori floreali dico al cliente “Non può mancare un Iris di Van Gogh”! E’ un inno all’artista, un inno alla sua sofferenza e al suo genio incompreso. I clienti sorridono e approvano.
Vincent, eri una divinità ma nessuno se ne accorse.

Sei proprio come Didone morente raccontato da Virgilio nell’Eneide: Iride rugiadosa, nel cielo traendo mille colori dal sole, discese anche su di te e si fermò sul tuo capo, ti liberò dal corpo irradiando la tua arte per l’eternità. 

Annie Pellecchia

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