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Dirlo coi fiori, al tempo di Whats App

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”.

Eccomi come il padre Dante, sperduta e turbata dagli eventi storici del mio secolo. Un negozio di fiori visto dall’esterno sembra un posto tranquillo, idilliaco: le belle vetrine, ricche di fiori, cassette di piante all’esterno, la commessa dal grembiule verde. Fino a pochi anni fa forse era così, il telefono squillava, il cliente ordinava i fiori:

«Mi faccia fare bella figura», diceva, «Sono innamorato, devo fare pace, devo disobbligarmi, ho avuto un lutto, sono invitato a pranzo…».

Mille erano le ordinazioni, mille i sentimenti, gli stati d’animo, le aspettative. I miei genitori, come poeti, creavano composizioni di fiori, proiettavano attraverso la scelta deicolori, le varietà, la disposizione degli steli, tutte quelle emozioni di cui si facevano partecipi. Sapevano che i fiori avrebbero cambiato in meglio la giornata di chi li avrebbe ricevuti.

 

whatsappSapevano che quelle emozioni di colori avrebbero accarezzato l’anima.

 

Ricordo clienti che, entrando in negozio, dicevano: «Ugo, ma che cosa hai mandato a Tizio o a Caio? Sono rimasti contentissimi ogni volta che mi vedono mi ringraziano!».

 

Per me era la normalità, quella normalità mi entusiasmava, mi faceva credere nel mio lavoro, mi faceva amare i clienti.

 

Poi qualcosa è iniziato a cambiare. Negli anni ’80 trasmisero in televisione un telefilm americano, Visitors, che raccontava di extraterrestri che volevano impadronirsi del pianeta Terra. Per farlo usavano una strategia di sostituzione: prendevano il posto degli uomini facendoli sparire. L’unico dettaglio, per scoprire i veri uomini dalle copie, era la pelle: se si scorticava quella umana, fuoriusciva quella verde dell’extraterrestre lucertolone.

 

E quello che ci è accaduto oggi: la tecnologia se in un primo momento ha incuriosito, entusiasmato, in un secondo momento troppo velocemente ha iniziato a modificare il rapporto con il reale. In negozio, entrano sempre più persone connesse con i loro cellulari, quasi come se quest’ultimi fossero parte dei loro corpi.

Fosse solo questo il problema! La cosa che mi spaventa di più è che non riescono a creare una dicotomia, una distinzione, tra quello che propone un’immagine e quello che hanno davanti ai loro occhi. Mi spiego: tutti i fioristi sono associati con organizzazioni di spedizioni di fiori in tutto il mondo, questo significa che il cliente viene aiutato attraverso delle immagini a scegliere un tipo di omaggio da consegnare alla persona interessata.

Ogni organizzazione, nelle clausole condizioni di vendita, avverte che l’omaggio floreale potrà differire causa stagionalità o festività. Di qualunque tipologia di composizione si tratterà alla fine, sarà assicurato un prodotto curato e dello stesso importo. Tutto bene? Sì finché, appunto, non sono arrivati i visitors a sostituire l’umano che è in noi. Non ci credete?

Ecco alcuni esempi realmente accaduti nella nostra azienda.

Come quello del fattorino sequestrato in casa: una ragazza, ricevuto l’omaggio floreale, lo fotografa e con Whats App spedisce l’immagine al fidanzato, che vive dall’altra parte del pianeta, per confrontare se i fiori corrispondessero a quelli da lui scelti nel catalogo virtuale.

In un altro caso, ancor più grave, una delle dipendenti della più famosa organizzazione di spedizioni floreali mi telefona in negozio dicendomi che l’omaggio differiva dalla foto. Anche lei sostituita dai visitors. Se fosse stata ancora umana avrebbe conosciuto le condizioni di vendita invece no, ripeteva come un automa: «La composizione Sushi che noi proponiamo ha tre rose lei ne ha messe sette». A quel punto ho capito che non c’era speranza, ho chiamato telefonicamente la cliente della composizione Sushi: «Signora non le sono piaciuti i fiori? Perché non mi ha chiamato personalmente?

Siamo a sua completa disposizione». La giovane donna, con una voce imbarazzata, mi risponde che i fiori sono belli, ma il fidanzato – ormai visitor anche lui – non la trova corrispondente all’immagine, vuole dall’altra parte del pianeta sostituirla o comunque riavere i soldi indietro o non so cos’altro. La ragazza è quasi piangente al telefono; la esorto a non disperare a richiamare il suo amore, spiegargli che le rose, anche se sette al posto di tre, sono bellissime, fresche, profumate, la rendono felice. Non mi accontento: li invito, una volta che il suo uomo la raggiungerà a Salerno, a visitare il negozio dove un fiore l’attende in omaggio.

Stupidamente già immaginavo la scena idilliaca, invece no dopo qualche giorno l’ordine mi viene annullato, con perdita del guadagno.

Quello che mi è dispiaciuto non è tanto la perdita dei soldi, quanto l’uccisione per colpa di un’immagine della comunicazione personale e fisica. Gli antropologi, seriamente preoccupati del fenomeno, hanno capito che “una parte dell’umanità rischia di restare presa nel gioco di specchi che il virtuale allestisce affinché essa vi si cerchi e vi si perda incessantemente” (Marc Augè).

Siamo di fronte ad un fallimento della tecnologia? Non so rispondere ma di una cosa sono sicura: i visitors non sono creativi, non immaginano, non sognano, non vedono soprattutto non dicono grazie.

Stiamo all’erta.

 

Anny Pellecchia

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