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Garofano, fiore degli dei, ha fatto sognare i popoli

Da chi lo usava per aromatizzare il vino delle truppe alle fazioni politiche che se lo appuntavano
al petto, il Dianthus, carnoso e compatto, è sempre stato fonte di ispirazione.
Oggi, in Italia, lo si ama meno di un tempo. Le varietà nane invertiranno la tendenza?

“Na pianta ‘e caruofone russe

A’ coppa a sta loggia me dice

Venite, v’aspetta…saglite:

è chesta na sera felice …

V’ aspetta saglite…

Sagliete!

(Diego Petriccione)

Eppure la gente non accoglie questo invito dei garofani, un fiore così antico, così generoso, così poetico.

Vivo in un’area geografica dove non si amano i garofani.

Non li propongo più in negozio, arresa dopo aver ascoltato fin da piccola fiumi di parole da parte di mio padre con i clienti, nel decantare la bellezza di questo fiore .

garofani3Per farlo felice chiesi di addobbare la chiesa delle mie nozze con garofani. Sia io che mio padre quel giorno sapevamo bene che non stavamo festeggiando me, ma loro mille garofani bianchi finalmente liberi di esprimersi dopo anni di pregiudizi.

Anche il mio nomignolo incollatomi appena uscita dal ventre di mia madre fu quello di una varietà di garofano rosa ”Anny”. Un fiore antico sempre usato in negozio da mio nonno Arturo durante gli anni di guerra. Il mio vero nome è Anna Maria, custodisco il ricordo di mia zia che nel giorno di Sant’Anna mentre lavorava in negozio con i fratelli fu invitata da amici a fare un giro in macchina fino a Pompei. Ci fu un incidente, aveva 19 anni, non tornò più. Porto il suo nome per rispetto di un dolore mai finito, ma questa è un’altra storia. Sulla carta d’identità proprio come me il garofano ha un nome con cui nessuno lo chiama “Dianthus”!

Nome che fonde “dios” e “anthos”

Non si sa perché Linneo decise nella sua catalogazione botanica di chiamarlo così ! Fuse le due voci greche “dios”e “anthos”, fiore degli dei! Se attraversiamo l’Europa nessun popolo, dall’Inghilterra, Spagna, Francia, Germania,  (Carnation, Clavel, Oeillet, Nelke) sembra averlo adottato. I mussulmani d’Africa coltivavano questo fiore per dar profumo ai liquori, i romani a loro volta solerti al buon bere presero dalle colonie africane questo piacere mettendo i fiori nel loro vino per aromatizzarlo. Il suo profumo è somigliante a quello della spezia ( i chiodi di garofano che invece è l’Eugenia caryophillata), donde la confusione tra le due piante, ed anche la confusione sull’origine del suo nome popolare caryophyllus-garyphillus-garofillo-garofano!

Attraverso le letture ho potuto notare che il garofano ha avuto nella maggio parte della sua storia sempre un ruolo politicamente simbolico .

Quando fu simbolo di passioni politiche

Lo portavano i soldati del Gran Condè come simbolo di valore, i nobili francesi mentre si recavano al supplizio, Napoleone scelse il garofano rosso per i nastrini della Legion d’Onore, garofani bianchi simboleggiavano i monarchici francesi, la regina Maria Antonietta avrebbe ricevuto molti messaggi, nascosti nei calici dei garofani, i rossi invece rappresentavano i rivoluzionari francesi, i seguaci di Boulanger si facevano riconoscere con un garofano, fino a diventare il simbolo del socialismo. Allontanandomi dalle idee ideologiche o politiche, personalmente amo il garofano per quello che è, semplicemente un bel fiore .

Il grande garofano da fiore reciso carnoso e compatto dai colori incredibilmente ammalianti viene coltivato anche nella mia regione la Campania per i mercati esteri. Mi viene un piccio da bambina quando incontro i coltivatori alle fiere, e il piccio raddoppia e si fonde a una punta d’orgoglio quando trovo i garofani italiani a Parigi o a Londra! Una vera beffa mi dico, osannati qui snobbati in terra natale!

Meraviglie in sedicesimo

Una bella rivincita però in suolo italico i garofani la stanno conquistando. Negli ultimi anni sono state selezionate numerose varietà di garofani nani. Deliziose piantine in vaso a cespuglietti bassi con fioriture ben compatte, durature, soavemente profumate stanno catturando l’interesse del pubblico. Da gennaio a giugno mai faccio mancare in negozio cassette di queste meraviglie. Sono felice quando i clienti si soffermano ad ammirarle so che dopo aver citato alcuni versi di una famosa canzone napoletana subito o dopo qualche giorno torneranno per portare sui propri davanzali un vaso di garofani.

 

“ A Marechiaro ce sta na fenesta

la passione mia ce tuzzulèa,

nu garofano addora int’a na testa,

passa l’acqua pe sotto e murmulea…”

(Salvatore Di Giacomo- Tosti 1886)

 

Annie Pellecchia

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Latte, pane e fiori

Come mai un paese come il nostro amante dell’arte e di tutto ciò che è bello non ama i fiori?

Vivo in una famiglia di fioristi, i fiori sono praticamente nel nostro dna, essendo il negozio aperto dal 1919.

Eppure noto che molti italiani non hanno la passione per i fiori, spesso mi accorgo che il loro sguardo è cieco verso il mondo della natura. Ma perché?

Voi mi risponderete, in Italia manca una tradizione popolare, ve ne solo una aristocratica che ci ha lasciato pochi ma meravigliosi giardini. E’ vero, in Italia non c’è lo stesso interesse come in altri paesi europei, basti pensare solo all’Inghilterra dove perfino sulle casse dei supermercati si trovano mazzetti floreali!

Latte, pane e fiori è un acquisto quotidiano per moltissimi paesi europei.

La globalizzazione ha creato tendenze di composizioni floreali omogenee, è richiesto il colore viola, se anni fa un fiorista italiano tentava di vendere un fiore del colore appena citato veniva linciato! Il fenomeno italiano è degno di nota, ma la domanda che dobbiamo farci è un’altra, più profonda –“Come mai un paese come il nostro amante dell’arte e di tutto ciò che è bello non ama i fiori?” Se in Africa (eccetto quella parte che ha avuto contatti con civiltà nord islamiche) non sono interessati la ragione è semplice la popolazione è affamata. Lo sviluppo della cultura dei fiori è un lusso di cui l’Italia per la sua storia e cultura poteva più che permettersi!  E allora che cos’ è successo?

Dov’è che la nostra memoria è andata perduta?

FloraNell’antica Roma era usanza durante i banchetti imperiali far cadere a pioggia dal soffitto migliaia di petali di rosa. Ogni cosa veniva ricoperta e rimanere soffocati era davvero un pericolo reale per gli ospiti, ma cosa importava, essere imperatore significava anche spendere milioni di sesterzi in fiori. Il fiore era potere, lusso, bellezza,divinità!

Chilometri di roseti a Paestum erano il serbatoio di approvvigionamento per tale lusso.  Il giardino era un prestigioso ornamento, era prima di tutto un paesaggio sacro, diretta emanazione di quello greco. La Dea Flora ”presiedeva tutto ciò che fioriva” a lei erano associate pratiche magiche a sfondo sessuale e Dionisio il dio della fecondità era il simbolo della potenza inebriante della natura, della linfa che era vita della vegetazione, venne adorato come il dio della vita giocosa, delle feste dei divertimenti, circondato dalle Baccanti le quali adornavano il dio con ghirlande fiorite.

I riti dionisiaci erano veri e propri momenti di sfrenatezza dove ogni regola era infranta.

Quando l’impero romano iniziò a dare cenni di cedimento una nuova religione mirò a spezzare il legame magico del genere umano con la natura, l’intento fu di distogliere lo sguardo umano dal fascino del mondo delle piante per dirigere l’attenzione verso un unico Dio in cielo. Coloro che disubbidirono furono studiosi che conoscevano le piante profondamente per scopi medicamentosi… per questi ultimi la santa inquisizione non ebbe pietà. La storia è piena di condanne al rogo per stregoneria. La Chiesa aveva capito il potere delle piante mediche e volle il controllo soprattutto di queste. L’uomo e la donna furono scacciati dal giardino del Paradiso, i fiori furono rinchiusi nei monasteri. Si potevano donare ai Santi per devozione o portarli ad un caro defunto. Con queste premesse come poteva il popolo italiano riavvicinarsi al mondo dei fiori?         Il tempo ci ha fatto perdere la memoria di quella passione pagana che era un tutt’uno con il mondo. E’ davvero affascinante il viaggio dei fiori nella storia, oggi la globalizzazione sta aiutando i fiori a riprendersi in Italia il giusto posto nella vita di tutti noi. La Chiesa in questo momento storico ha guerre ben diverse e difficili da combattere, i fiori non possono che aiutarla. Portare tra le mani un fascio di fiori non può che essere un atto d’amore anche verso il creato.

Il Santo Papa l’ha capito e lo scorso agosto ha parlato all’umanità dell’arte e della bellezza, porte aperte verso Dio. Tutte le forme d’arte anche quella di disporre con amore fiori un vaso sono via della bellezza, una via che l’uomo d’oggi dovrebbe recuperare nel suo significato più profondo.

 

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia

 

 

 


 
Dirlo coi fiori, al tempo di Whats App

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”.

Eccomi come il padre Dante, sperduta e turbata dagli eventi storici del mio secolo. Un negozio di fiori visto dall’esterno sembra un posto tranquillo, idilliaco: le belle vetrine, ricche di fiori, cassette di piante all’esterno, la commessa dal grembiule verde. Fino a pochi anni fa forse era così, il telefono squillava, il cliente ordinava i fiori:

«Mi faccia fare bella figura», diceva, «Sono innamorato, devo fare pace, devo disobbligarmi, ho avuto un lutto, sono invitato a pranzo…».

Mille erano le ordinazioni, mille i sentimenti, gli stati d’animo, le aspettative. I miei genitori, come poeti, creavano composizioni di fiori, proiettavano attraverso la scelta deicolori, le varietà, la disposizione degli steli, tutte quelle emozioni di cui si facevano partecipi. Sapevano che i fiori avrebbero cambiato in meglio la giornata di chi li avrebbe ricevuti.

 

whatsappSapevano che quelle emozioni di colori avrebbero accarezzato l’anima.

 

Ricordo clienti che, entrando in negozio, dicevano: «Ugo, ma che cosa hai mandato a Tizio o a Caio? Sono rimasti contentissimi ogni volta che mi vedono mi ringraziano!».

 

Per me era la normalità, quella normalità mi entusiasmava, mi faceva credere nel mio lavoro, mi faceva amare i clienti.

 

Poi qualcosa è iniziato a cambiare. Negli anni ’80 trasmisero in televisione un telefilm americano, Visitors, che raccontava di extraterrestri che volevano impadronirsi del pianeta Terra. Per farlo usavano una strategia di sostituzione: prendevano il posto degli uomini facendoli sparire. L’unico dettaglio, per scoprire i veri uomini dalle copie, era la pelle: se si scorticava quella umana, fuoriusciva quella verde dell’extraterrestre lucertolone.

 

E quello che ci è accaduto oggi: la tecnologia se in un primo momento ha incuriosito, entusiasmato, in un secondo momento troppo velocemente ha iniziato a modificare il rapporto con il reale. In negozio, entrano sempre più persone connesse con i loro cellulari, quasi come se quest’ultimi fossero parte dei loro corpi.

Fosse solo questo il problema! La cosa che mi spaventa di più è che non riescono a creare una dicotomia, una distinzione, tra quello che propone un’immagine e quello che hanno davanti ai loro occhi. Mi spiego: tutti i fioristi sono associati con organizzazioni di spedizioni di fiori in tutto il mondo, questo significa che il cliente viene aiutato attraverso delle immagini a scegliere un tipo di omaggio da consegnare alla persona interessata.

Ogni organizzazione, nelle clausole condizioni di vendita, avverte che l’omaggio floreale potrà differire causa stagionalità o festività. Di qualunque tipologia di composizione si tratterà alla fine, sarà assicurato un prodotto curato e dello stesso importo. Tutto bene? Sì finché, appunto, non sono arrivati i visitors a sostituire l’umano che è in noi. Non ci credete?

Ecco alcuni esempi realmente accaduti nella nostra azienda.

Come quello del fattorino sequestrato in casa: una ragazza, ricevuto l’omaggio floreale, lo fotografa e con Whats App spedisce l’immagine al fidanzato, che vive dall’altra parte del pianeta, per confrontare se i fiori corrispondessero a quelli da lui scelti nel catalogo virtuale.

In un altro caso, ancor più grave, una delle dipendenti della più famosa organizzazione di spedizioni floreali mi telefona in negozio dicendomi che l’omaggio differiva dalla foto. Anche lei sostituita dai visitors. Se fosse stata ancora umana avrebbe conosciuto le condizioni di vendita invece no, ripeteva come un automa: «La composizione Sushi che noi proponiamo ha tre rose lei ne ha messe sette». A quel punto ho capito che non c’era speranza, ho chiamato telefonicamente la cliente della composizione Sushi: «Signora non le sono piaciuti i fiori? Perché non mi ha chiamato personalmente?

Siamo a sua completa disposizione». La giovane donna, con una voce imbarazzata, mi risponde che i fiori sono belli, ma il fidanzato – ormai visitor anche lui – non la trova corrispondente all’immagine, vuole dall’altra parte del pianeta sostituirla o comunque riavere i soldi indietro o non so cos’altro. La ragazza è quasi piangente al telefono; la esorto a non disperare a richiamare il suo amore, spiegargli che le rose, anche se sette al posto di tre, sono bellissime, fresche, profumate, la rendono felice. Non mi accontento: li invito, una volta che il suo uomo la raggiungerà a Salerno, a visitare il negozio dove un fiore l’attende in omaggio.

Stupidamente già immaginavo la scena idilliaca, invece no dopo qualche giorno l’ordine mi viene annullato, con perdita del guadagno.

Quello che mi è dispiaciuto non è tanto la perdita dei soldi, quanto l’uccisione per colpa di un’immagine della comunicazione personale e fisica. Gli antropologi, seriamente preoccupati del fenomeno, hanno capito che “una parte dell’umanità rischia di restare presa nel gioco di specchi che il virtuale allestisce affinché essa vi si cerchi e vi si perda incessantemente” (Marc Augè).

Siamo di fronte ad un fallimento della tecnologia? Non so rispondere ma di una cosa sono sicura: i visitors non sono creativi, non immaginano, non sognano, non vedono soprattutto non dicono grazie.

Stiamo all’erta.

 

Anny Pellecchia

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