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Il cuore grande dell’Anthurium

Bella, romantica, esotica e per di più longeva e benefica. Il viaggio di Anny fra le meraviglie della natura ricomincia con una pianta che inneggia all’amore, il sentimento che dà un senso alla vita di noi tutti

Un grande vaso di fiori di Anthurium recisi è sempre in bella mostra per dare il benvenuto a tutti i clienti che entrano nel nostro negozio di fiori.

Mio padre ne andava matto, tagliava grandi foglie di palma o di Strelitzia augusta per creare lo sfondo adatto e con il suo magico entusiasmo contagiava inevitabilmente tutti quelli che gli erano vicini. Ammaliava le signore della ricca società con il suo savoir-faire. Accolte come delle dive, venivano invitate ad ammirare i cuori delle Hawaii e naturalmente ognuna di loro non poteva che farsi mandare a casa quel sogno esotico fatto di Anthurium con tanto di foglia gigantesca.

Debutta Choco e diventa una star

Dai miei ricordi di bambina anni ’70 ad oggi, ne ha fatta di strada l’Anthurium. A quei tempi le varietà di fiori recisi non arrivavano a dieci, mentre adesso, grazie all’ibridazione, abbiamo una quantità incredibile di colori e sfumature. Il primo ad aprire le danze di ciò che da lì a poco avremmo potuto godere fu l’Anthurium colore cioccolato.

Ricordo ancora lo stupore per il primo ‘Choco’! Fu scelto un nome così intrigante per il lancio di un colore del tutto innovativo. Era perfetto lavorato a Natale con elementi oro, oppure in estate accoppiato con tinte a contrasto per esaltarne la particolarità! E poi chiunque amasse il cioccolato non poteva non desiderarlo o comunque rimanerne incuriosito.

Poi ci furono i meravigliosi stand alle fiere del settore e lì davvero non bastavano due occhi per guardare ciò che l’uomo era stato capace di creare. Non solo un carnet di colori incredibile, fino agli estremi glitterati, ma anche le varie dimensioni della brattea e dello spadice si prestavano per infiniti lavori che avremmo poi realizzato.

Dalle misure maxi, perfette per scenografie di grandi ambienti, fino alle mignon, per deliziosi bouquet leggeri e resistenti soprattutto alle temperature estreme estive.

Resiste e purifica

Eh sì, perché come tutti sanno, il fiore di Anthurium può durare anche un mese se ben accudito. Più di una volta i clienti hanno elogiato la resistenza dei fiori acquistati diverse settimane prima in negozio: «Incredibile, un mese di bellezza!». E così l’Anthurium conquista la fidelizzazione dell’acquisto sicuro, che per un fiore non è poco.

Per non parlare delle piante in vaso, che tra quelle domestiche sono le più longeve e purificatrici dell’aria.

I fiori a forma di cuore sono senza alcun dubbio tra i più duraturi sulla Terra. L’ennesima prova della straordinaria capacità creativa della Natura.

 

Annie Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 


 
Tarzan, Jane e lo spettacolo delle piante carnivore

Claudia ed io, andavamo matte per Tarzan. Erano gli anni ’70 e la RAI trasmetteva per la TV dei ragazzi gli episodi americani in bianco e nero di “Tarzan il Re della giungla”.

Tarzan era magnifico, la sua agilità mentre correva nell’intricata foresta, i suoi spostamenti volanti aggrappato alle liane erano spunti per nuovi giochi all’aria aperta! 

Nulla poteva spaventarlo. La foresta era un luogo pieno di sorprese, mille pericoli, mille situazioni da risolvere, combattimenti con bestie feroci, sabbie mobili, serpenti, tarantole. Ogni episodio era un’immersione totale nella Natura, la stanza si riempiva di canti di uccelli, grida di scimmie, ruggiti di felini. E poi c’era l’incredibile urlo di Tarzan!

La prima carnivora non si scorda mai

In un episodio, Tarzan rimase intrappolato in una gigantesca pianta carnivora. Ricordo lo sforzo enorme delle sue braccia muscolose per liberarsi dal morso delle foglie dentate! Ancora una volta il nostro eroe era salvo. Un giorno, poi, accadde una cosa incredibile: mio padre portò per la prima volta in negozio proprio delle piante carnivore, per la precisione una Dionaea muscipula. La stessa pianta con cui Tarzan aveva combattuto, ma infinitesimamente più piccola. 

Ebbi il permesso di prenderne una tutta per me e con la mia amica del cuore iniziammo ad osservarla. Stuzzicammo i lunghi piccioli delle foglie e dopo un po’ la “bocca vegetale” si chiuse. Eccitatissime decidemmo di passare alla fase due. Ovvero, cercare del cibo per la nostra carnivora.

Aprimmo il frigo e, dopo una veloce consultazione, optammo per una fetta di prosciutto.

Urlanti di gioia, la pianta intrappolò il pezzo di salume. Fu solo monitorandola nei giorni successivi che capimmo che qualcosa era andato storto.

Ancora oggi con Claudia ridiamo ricordando la fetta di prosciutto assassina. Da quel giorno non mi azzardai più a cibare le Dionee!

 

Oggi in tutti i negozi di fiori, supermercati e vivai facilmente si può acquistare facilmente una pianta carnivora: una Dionea, una Nepenthes, una Sarracenia, una Drosera. Tutte possiedono fascino e soddisfano i collezionisti, che anno dopo anno aumentano sempre più. Concorre il fatto che non è difficile curarle: bisogna assicurarsi che i sottovasi abbiano sempre 2-3 cm d’acqua (non di rubinetto o bottiglia ma piovana, osmotizzata o distillata), amano la luce filtrata e il caldo dell’estate. Possono rimanere all’aria aperta, ma con l’arrivo del freddo vanno tenute riparate dal gelo.

Tutti, ma proprio tutti si fermano davanti al mio negozio per ammirarle. Tutti mi chiedono se per davvero mangiano gli insetti. Le piante carnivore usano gli insetti per ricavare azoto, fosforo e oligoelementi che non trovano nei terreni dove crescono. Le loro trappole sono infallibili. Oltre le chiusure a scatto delle foglie, secernono una sostanza collosa che sembra rugiada (Drosera); gli insetti, ingannati dal tranello, rimangono intrappolati inesorabilmente. La pianta a quel punto produce degli enzimi e inizia a digerire vivo il malcapitato. Scene da film horror, ma l’acquisto è garantito pur di immaginare una zanzara agonizzante!

Un giorno, una cliente mi mostrò orgogliosa le foto di mosche intrappolate nelle piccole fauci della sua Dionea. Rimasi di stucco, davvero un banchetto nuziale.

Tra le rarità botaniche della Costiera Amalfitana

Le carnivore mi stupirono ancora una volta anni fa. Non avrei mai pensato che in Italia e proprio a pochi chilometri da casa mia vivesse una colonia così numerosa! Sfogliando per caso una rivista culturale di Gragnano e i Monti Lattari, mi soffermai su un articolo del prof. Giuseppe Di Massa. Seguendo le sue indicazioni mi inoltrai in un luogo incredibilmente fantastico: la riserva naturale Valle delle Ferriere, una piccola foresta intatta da secoli, facilmente raggiungibile da Pontone, frazione di Scala (SA), in Costiera Amalfitana. Percorrendo una comoda mulattiera, dopo un paio di ore di piacevole passeggiata tra boschi e bellissime cascate ci si trova immersi in un ambiente caratterizzato da un clima tipicamente equatoriale. Un luogo incantato per gli appassionati di botanica: orchidee selvatiche, felci di grandi dimensioni (Woodwardia radicans) e soprattutto la Pinguicula hirtiflora. Piccola, delicata e rarissima, è un autentico fossile vivente sopravvissuto alle glaciazioni. Conosciuta anche con il nome di “erba unta amalfitana”, questa piccola pianta ha un fiore violaceo a calice e foglie lattiginose che, ripiegandosi su sé stesse, digeriscono gli insetti con particolari enzimi. Mentre ammiravo estasiata le piante, una sagoma comparve alle mie spalle, per poco non morivo di paura. Era una guardia forestale! Dissi la cosa più stupida che mi venne in mente per sdrammatizzare il mio panico: «Pensavo fosse Tarzan!». La guardia rise di gusto: «Sì, sono Tarzan “versione 2000”, la nostra missione è sempre salvaguardare la Foresta. Jane, mi raccomando, non cadere nel ruscello, qui di liane non ce ne sono!».

 

Annie Pellecchia

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Tra le Gypsophila fiorisce la casa dei bambini speciali

Quando Antonietta pubblicò questa foto su Facebook, rimasi incantata. Uno scatto che raccontava tutto di lei: la sua passione, il suo orgoglio di essere una grande lavoratrice. Bella, con quel suo viso greco, chiedeva una cosa semplice al mondo in tempo di Covid-19: «Possiamo tagliare i fiori nelle serre, possiamo non stancarci inutilmente?».

Naturalmente non ebbe risposta, come tanti lavoratori che nello stesso momento chiedevano, chi per una ragione chi per un’altra, l’identica cosa. Quella serra di Gypsophila lavorata con tanta solerzia, sacrifici e dedizione andava rispettata e meritava una risposta.

Antonietta

Antonietta appartiene a quella bella Italia a cui troppo spesso le risposte non vengono date e allora l’unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche e risolvere da soli tutti i problemi. 

Ore 1:45, lei è già sul campo di battaglia nel box del Mercato dei Fiori di Castellammare di Stabia (NA). Ore 7:00, di corsa torna a casa per portare tre dei suoi cinque figli a scuola, in tre paesi diversi, perché in molti comuni del napoletano i servizi dovuti per l’infanzia sono inesistenti. Seguono lavatrici, cucina, panni da stendere, pavimenti da tirare a lucido… e poi c’è lei, la sua bimba speciale, dove solo un cuore di mamma può smuovere le montagne. Non c’erano strutture vicino casa, e allora che fa Antonietta? Pur vivendo in un quartiere difficile, diventa presidente della neo associazione “L’oasi di Asia” e il Comune di Boscoreale (NA) le dà uno spazio. Per il resto se la veda da sola, ma va bene così, è già qualcosa per costruire un mondo fantastico dove tanti bambini speciali con le loro mamme speciali possano incontrarsi e aiutarsi.

Un fiore “totale”

Infine c’è la serra, dove di tanto in tanto va a dare una mano; la Gypsophila è un fiore che ha preso il sopravvento su tanti altri. È forte, «totale» come dice lei. Onnipresente nelle composizioni floreali, si “sposa” con tutto, ma va bene anche da solo tanto è decorativo grazie alle eteree nuvole dei suoi minuscoli fiori. Ma quanto lavoro c’è dietro quella leggerezza? Eppure Antonietta è sempre presente al Mercato dei Fiori e non l’ho mai vista in tutti questi anni triste. Anzi attraverso i suoi gesti e il suo sguardo è capace di darti un po’ di amorevole femminilità in un mondo fatto quasi di soli uomini. Un sorriso al cliente, una carezza al vecchio cane del mercato, sempre svelta, attenta alla merce, ai carichi e agli scarichi dei fornitori. Le avversità della vita e la durezza del lavoro non l’hanno incattivita. Una volta mi disse: «È la forza della disperazione che mi fa andare avanti». Io le risposi che non ci credevo, c’era sicuramente molto di più. Lei sorridendomi mi disse: «Sì, la mia fede infinita, il mio Dio è il Dio dell’impossibile. Lo ringrazio ogni giorno della mia vita». Lo sapevo! Dio è proprio dove non te l’aspetti, tra i fiori, vicino a una mamma che ingoia le lacrime per non farsi vedere dai figli. Avrei voluto abbracciarla per tutto quello che è e per tutto quello che riesce a dare a chi le è vicino.

Sognare l’impossibile

Poi è arrivato il suo invito. «Mi vieni a trovare per l’inaugurazione del centro? Per l’occasione chiederò a ogni box del Mercato di donare una pianta affinché i bambini possano avere un giardino bellissimo da curare e in cui giocare. Non dovranno mancare grandi nuvole di Gypsophila nei vasi, dovranno però essere colorati con tutti colori che ci piacciono». Certo, servono tavoli, colori, fogli da disegno, perché la solitudine che avvolge questa vita così complicata si diluisca in una pennellata di acquarello. Spesso chi osa sognare l’impossibile è ascoltato da Dio che è proprio lassù, affacciato sopra tutti i colori dell’arcobaleno, guardando Asia e gli altri bambini.

 

Annie Pellecchia

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