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Christmas in love

Ci siamo, è arrivato il Natale. Le città si trasformano, le luci si accendono, il rosso, il bianco e l’oro illuminano le vetrine dei negozi e quasi per magia ci sembra di vivere in un’altra dimensione.
Tutte le strade sono un fermento di energia, c’è voglia di shopping.
In ufficio arriva il fattorino del fiorista, il capo come ogni anno regala ai dipendenti una piccola Stella di Natale per abbellire le scrivanie.
«Di nuovo Natale», sospira Alessandro; senza spostare lo sguardo dal monitor apre il cassetto della sua scrivania e tira fuori un piccolo albero e un minuscolo presepe, regalo di un’amica napoletana.
Quel tris può bastare per le decorazioni dell’anno. 45 anni di Natale, di cui gli ultimi sempre più pesanti.
La Festa è una resa dei conti di fine anno. Alessandro ha un lavoro importante, una famiglia, figli, una bella casa, tanti amici… e anche tante cose che purtroppo non è riuscito a realizzare.
Passa le mani tra i capelli, anche quelli sono caduti, rimane però sempre un bell’uomo, alto, elegante nei modi, occhi verdi, barba rada chiara.
«Non sembri italiano», così lo canzona Irina, la sua nuova fidanzata ucraina.  Lui di solito ride e risponde: «Be’, in Italia di invasioni ne abbiamo avute tante! Un bel po’ di gente ha rimescolato le carte in tavola».

Guarda il cellulare, un messaggio, è proprio di Irina!
«Ma dove sei?». Salta dalla sedia, è in ritardo, è la vigilia e non se n’è reso conto.
Deve consegnare un lavoro prima delle vacanze e tutto è passato in secondo piano, anche il cenone.
Scende di corsa in strada. Che freddo stasera a Salerno, alza il bavero della giacca e corre in via De Felice.
In cuor suo prega di trovare ancora aperto il fioraio che è lì da anni.
Non può presentarsi a mani vuote. La speranza è premiata.
Il negozio è caldo e accogliente. Una sensazione di benessere lo invade.
Da quanto tempo non entrava da un fiorista? Lo sguardo è rapito dalle meravigliose composizioni, l’olfatto si riempie di aria buona, fatta di conifere e muschi.
Per una frazione di secondo pensa di essere in un bosco incantato: cristalli, sfere, cerbiatti, rami, bacche, ghirlande.
E le Stelle di Natale? Si sono trasformate, le nuove varietà di una pianta così classica lo spiazzano.
La Poinsettia è diventata per magia una piramide, un palloncino su un gambo sottile, un grande cespuglio o un piccolo chic monofiore.
Colori nuovi, rosa, rosso screziato, glitterati, lasciano senza parole!
Poi lo sguardo si posa su due vecchie fotografie appese al muro.
La prima datata Natale 1945, la seconda 1931. La mia voce lo risveglia: «Il negozio nasce a Nocera nel 1919, quest’anno compie cento anni! Come posso aiutarla?».
Alessandro ride divertito, in quel negozio antico si sente a suo agio.
Pensa a tutte le donne di casa, per ognuna vuole un dono floreale. Per la madre sceglie la classica Stella di Natale rossa.
Per la zia un fascio di erbe augurali, a sua sorella un elleboro, alla badante della mamma una piccola conifera, a Irina, che ama tanto i fiori, un Amaryllis.
«Questo fiore porta nel suo nome il verbo amare – esclamo mentre lo incarto – che sia l’augurio di un nuovo anno all’insegna dell’amore.
Ci siamo fatti inghiottire dal materialismo e dal relativismo, rinnegando la nostra cultura dalle origini.
L’Europa ha le sue fondamenta nella tradizione cristiana, ricca di compassione e solidarietà.
Una rete di abbazie fu capace di integrare nel segno dell’accoglienza con una semplice formula di vita: “Ora et labora”.
Questo agire di uomini eletti ha sedotto e disarmato gli invasori.
E ora ecco la mia piccola nuova Europa, i miei collaboratori: Conrad dalle Filippine, Angelina dall’Ucraina, Samir dall’India e mio figlio Stefano con tutto l’entusiasmo e la preparazione dei giovani italiani.
Non sarà perfetta, ma funziona. Oh, mi scusi per le chiacchere, sono una fiorista con in tasca una laurea in lettere e filosofia. Buon Natale, signore, auguri di cuore».
Alessandro esce contento, però continua a pensare alle parole della donna.
Poche ma buone regole ripescate dal passato, un umanesimo di armonia e di poesia nelle creazioni floreali, tra quattro lingue e culture diverse mescolate insieme con grazia e disciplina lavorativa.
La bellezza di un negozio tradizionale è semplicemente entrare e ripetere come ogni anno un rito benaugurate. Perché passare quella soglia significa rivivere un ricordo.
Per molti è rivedere un proprio caro, ricordare la propria infanzia, la propria giovinezza.
Natale è un ripetersi di gesti, auguri, sapori, colori.
I fattorini non si fermano un attimo, le consegne sono tante, un mondo di fiori e piante entra nelle case per portare l’augurio più bello.
L’innovazione va a braccetto con la tradizione.
Ebbene sì, perché statisticamente il green ha scalato la vetta dei desideri di molti.
Anche i giovani hanno scoperto il piacere di scambiarsi regali all’insegna di piante e fiori. La scelta è immensa.
Un boom di prodotti per tutte le età e per tutte le tasche.
I social con le loro foto, Instagram per primo, incuriosiscono i clienti.
È un grande show in tempo reale.
Con un click tutti sono connessi con la bellezza green per irradiarla ovunque.
Ora Alessandro è finalmente a casa, riceve un abbraccio da tutte le sue donne, felici di aver ricevuto tutti quei bei omaggi.
Una volta a tavola osserva la sua famiglia: quante cose sono cambiate da quand’era bambino…
Sorride appagato, il regalo più bello eccolo qui, tutti insieme appassionatamente.
Auguri! Merry Christmas in love! 

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 

 

 


 
Terrarium

Ecco fatto, i Terrarium sono ben esposti in vetrina! Un cartellino con la scritta “novità” fa fermare i clienti incuriositi. Molti li acquistano soddisfatti. Le indicazioni date li appagano completamente. Ecosistema perfetto per chi non ha pollice verde.

Le piante vivono in un’ampolla di vetro chiuso da un tappo di sughero, tutto ciò produce umidità necessaria per farle vivere senza alcun problema. Non appassiscono mai, si nebulizzano di tanto in tanto con acqua minerale, il coperchio si solleva solo per pochi minuti una volta a settimana o addirittura una volta al mese, la potatura solo quando lo spazio diventa minimo.
I fanatici di design non possono non averlo, è un biglietto da visita per chiunque abbia una casa uno studio un negozio glamour.

“Evviva una vera novità” esordisce contenta la cliente! Sorrido, annuisco, concordo, ringrazio… eppure la mia mente da viaggiatrice immaginaria è nel 1834 imbarcata su una nave diretta in Australia e poi a doppiare capo Horn. Sono con il Dott. Nathaniel Ward e due fragili cassette di Terrarium, il viaggio è lungo e tempestoso, ma in gioco c’è un esperimento che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia dei “cacciatori di piante”.
Questi contenitori in vetro di piante ben esposti in vetrina hanno una meravigliosa storia che merita davvero di essere ricordata.

Fino al 1834 il trasporto delle piante esotiche era davvero un’impresa titanica. L’indice di mortalità delle piante in transitoera intorno al cinquanta per cento, la vita dei botanici chiamati “cacciatori di piante” non era proprio una scampagnata, tra foreste, paludi, giungle, aghi, fiumi. Le piante faticosamente raccolte, giungevano ai porti più vicini per essere imbarcate.

La sopravvivenza, da lì in poi era un vero terno a lotto. Le fragili piantine venivano sballottolate dal comandante della nave a proprio piacimento, a prua, dove gli spruzzi di acqua salata le avrebbero bruciate, o in stiva, dove sarebbero soffocate di caldo, mangiate dai topi, e soggette a sbalzi di temperatura.

I botanici le avevano provate tutte per abbassare l’indice di mortalità. Usarono barili, fogli di carta, argilla umida, cassette di legno. Niente, le piante morivano…morale della favola, i musei di Parigi e Londra erano pieni di piante secche esattamente duecentotrentacinquemilacinquecento, con altrettanti semi che proprio non riuscivano a germogliare in terre straniere.
Nel 1827 un gentiluomo, il dottor Nathaniel Ward, appassionato di botanica e insetti, prese un bruco lo pose su uno strato di muffa e lo chiuse in barattolo di vetro. L’intento era di osservare la metamorfosi in farfalla. Destino volle che se ne dimenticò del tutto. Quando dopo un po' di tempo se ne ricordò con sorpresa si accorse che dallo strato di muffa era cresciuta una piccola felce e un filo d’erba.
«Mi resi conto che durante le ore calde del giorno l’umidità si sprigionava dalla muffa condensandosi sulla superficie del vetro e poi tornava al punto di partenza, mantenendo quindi la terra sempre allo stesso livello di umidità», scrisse Ward.
Per un puro caso il nostro dottore aveva intuito che le piante sigillate, riuscivano a crescere in un atmosfera umida, libera da impurità, con luce e calore costante. Se ciò funzionava in un angolo freddo dell’Inghilterra avrebbe funzionato anche su una nave nel mezzo dell’oceano!

Il piccolo giardino nel barattolo visse ben quattro anni, Ward perfezionò i coperchi con un falegname per trovare un legno duro e ben stagionato. Costruì versioni più grandi, furono chiamati “Terraria” e divennero ben presto desiderio della classe borghese dell’Inghilterra vittoriana. Il Terrarium mania dilagò velocemente, gli ebanisti si sbizzarrivano a creare cassette elaborate per i clienti più esigenti, nacque la figura del “Bontany Bens” ovvero il venditore ambulante di felci.

In Inghilterra se ne contavano ben sessantacinque varietà, era inevitabile che l’onnipresente felce avesse un posto d’onore nei Terrarium vittoriani. Il dottore Ward però guardò oltre e decise di imbarcare due Terrarium per il suo esperimento.

Dopo otto mesi di viaggio le piante ritornarono in patria perfettamente sane!

Da questo successo nacque la prima pubblicazione “On the Growth of Plant in Closely Glazed Cases” un manuale completo sul Terrarium.

Da quel giorno la circolazione e lo scambio delle piante su tutto il pianeta fu possibile, le piante avevano un buon novanta per cento di sopravvivenza. Grazie al dottore non solo gli orti botanici si arricchirono di piante ma lo scambio di piante mediche guarirono molte persone. Il Dottor Nathaniel Ward era uno studioso, aveva quanto gli bastava per vivere, ciò a cui teneva davvero era la stima e il rispetto dei colleghi e dei floricultori.
Ward era un uomo il cui spirito si alimentava di entusiasmo, e tutto ciò che ogni uomo intraprende solo in virtù dell’entusiasmo merita di diventare storia.
Grazie dottor Nathaniel Ward anche dalle generazioni del nostro tempo!

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore

 

 

 

 


 
I girasoli e la Dea Oshun

Non dimenticherò mai quel sabato mattina d’estate quando davanti al negozio si fermò in bici Lei, venuta da terre lontane dove il sole è caldo e l’amore è tutto in una danza.
Cubana cento chili di “libidine e bontà” vestita completamente di giallo, con le coscione a vista, senza vergogna. Per lei la vita era festa, gioia di vivere. Con le sue enormi forme entrò in negozio. Era un quadro di Botero, i grandi seni come angurie strabordavano dalla generosa scollatura. La pelle color cioccolato, il sorriso imperlato da denti perfetti, la massa di capelli scuri come le notti d’estate, il suo accento così musicale mi lasciò letteralmente senza parole!

Guardò il grande vaso di girasoli “Eccoli finalmente” esclamò felice!”
Poggiò sul bancone una guantiera del pasticcere appena comprata e iniziò a sfilare i fiori dal vaso.
Mentre li prendeva, silenziosamente recitava una preghiera. La mia curiosità era tanta, a chi portava con tanta enfasi i fiori e i dolci? Come una sacerdotessa capace di leggere nella mente rispose alle mie parole non pronunciate.

”Oggi devo festeggiare la Dea Oshun, la Dea dell’amore, della bellezza, della femminilità.
Ho molti problemi col mio uomo, andava tutto bene, poi non so cosa sia successo, non lo capisco più.”
Continuò, il suo soliloquio “Oshun, è una divinità molto potente, è la Dea dei sentimenti inspiegabili dell’amore, è attrazione ed empatia, dona piacere mentale e spirituale.

Oshun ha la proprietà innata di emanare bellezza senza che sia necessario guardarla per essere apprezzata.
Il suo colore preferito è il giallo oro, i suoi fiori preferiti sono i Girasoli e non disdegna il buon cibo.”
Mentre incartavo i fiori mi disse “Questo fiore esercita un buon influsso ovunque si tenga. Scaccia le anime in pena. Oshun ama vederlo nelle case dei suoi figli.”
Così dicendola bella cubana uscì soddisfatta dal negozio, le sue grandi natiche ondeggiavano come una bandiera conquistatrice.
Però che bella questa Dea Oshun, pensai tra me, amante dei girasoli, ballerina, allegra, simpatica e perché no anche un po' libertina!

Questa Dea ne ha fatta di strada, ha scavalcato i confini dell’Africa, assieme ai deportati africani e si è diffusa in America latina intorno al 1700 mescolandosi, sia con i culti indigeni del continente sia con la cultura cattolica. Ci fu un interessante processo di fusione di elementi inconciliabili, attuati però per esigenze pratiche di carattere culturale religioso.

La Dea per sopravvivere ai terribili dominatori europei venne mascherata con un santo cattolico. Col tempo il culto si rafforzò così tanto che i praticanti non disdegnarono la visione cattolica. Cattolicizzata come la Vergine “de la Caridad del Cobre” oggi è la Patrona di Cuba. Una Vergine bellissima vestita di giallo oro, ricoperta di girasoli!
E i Girasoli? Non sono originari dell’Africa ma proprio delle Americhe del sud.

Quanta sofferenza hanno portato gli europei non solo ai deportati africani ma anche ai poveri indigeni.

Il sanguinario conquistatore Francisco Pizarro scoprì che gli Incas veneravano il girasole perché immagine del loro Dio Sole. Ci volle poco come noi tutti sappiamo a falciare una nobile civiltà per appropriarsi di tutto ciò che non gli apparteneva.

I girasoli naturalmente furono anch’essi calpestati, senza pietà. Eppure quanta ricchezza era racchiusa in quel fiore sacro.

Coltivato fin dal 1000 a.C., i Maya cuocevano i grani per ricavarne una bevanda afrodisiaca, i semi venivano macinati per ottenere farina per pane e minestre di vari tipi.

I semi tostati e macinati erano ottimi per preparare una bevanda simile al caffe, mentre spremuti davano un olio dalle elevate proprietà nutritive. I fusti e le foglie servivano invece a ricavare fibre per tessere stuoie, abiti e corde. I petali bolliti in acqua diventavano decotto medicamentoso come rimedio di febbri e disturbi respiratori.

Lo vedo Il povero Incas sopravvissuto a tanta ferocia con il suo girasole, nascosto sotto i nuovi abiti occidentali, porgerlo in dono ai piedi della statua della Madonna e pregare contemporaneamente non solo Lei ma anche il dio Sole e Ohun. Una preghiera vera, disperata ”Salvaci da tanta follia, da tanta crudeltà”.
Le tre divinità cercarono di fare il loro meglio, la schiavitù fu abolita, le culture Inca oggi sono studiate e valorizzate, La Madonna amica di Ohun, sono sempre in prima linea per ascoltare e confortare tutti i credenti.

Il Dio Sole ha fatto sì che il girasole diventasse un fiore universale apprezzato e amato in tutto il pianeta!
Poche settimane dopo la bella cubana passò davanti al negozio con il suo bell’uomo italiano, avvinghiato a lei come una piovra, sorridente, in estasi, appagato!

Lei incrociando il mio sguardo mi strizzo l’occhio e con un sorriso malizioso mi fece capire tutto!

Rientrai in negozio ridendo, misi un sottofondo di musica cubana, accarezzai i girasoli nel vaso e ballai felice!

Anny Pellecchia

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