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Stella di Natale

Si entra in casa, con una bella Stella di Natale, il panettone, lo spumante. E’ tradizione!
Se non ci sono tutte le cose al posto giusto, abete, presepe, la nonna, la zia, il regalo per eccellenza calzini e pigiama, non è Natale!
Ormai sono pronta in negozio a rispondere alla solita frase, del solito cliente: « Non vorrei la solita stella di Natale!».
Ma la Stella invade ogni magazzino, supermercato,ipermercato, 31 giorni di rosso, sangue e arena!
Un rosso che costringe tutti noi del settore dopo le festività ad andare in cromoterapia il 6 gennaio!
Eccole le clienti anch’esse sotto stress da rosso che mi chiedono se possono regalarmi le loro Stelle che proprio non si decidono a morire!
Con un bel sorriso invito le signore a recidere i fiori e tenerli in acqua, basta una settimana e tutto sarà finito, la pianta invece, ben innaffiata e concimata sarà una bella macchia verde in appartamento…
Ed eccole le stesse ritornare raggianti di felicità in piena estate raccontarmi di quella Stella bistrattata che ora vegeta felicemente al sole delle loro terrazze…
Che fatica questa strana umanità! Eppure le piante seguono il loro percorso tranquillamente, infischiandosene della follia umana.
Oltretutto la Stella stava tanto bene nel suo paese d’origine il Messico, amata dal popolo azteco.
I fiori poeticamente venivano trasportati sulle canoe in omaggio al sovrano Montezuma, si credeva infatti che il rosso della Stella provenisse dal sangue di una dea.
Questa è la prima notizia riportata dal popolo bianco sterminatore, le truppe di Cortes. Era il 1520, ci ci volle poco per distruggere quell’incantesimo e calpestare il fiore venerato sotto le suole degli stivali spagnoli. Solo molto tempo dopo la Stella di Natale viene di nuovo menzionata. E’ il 1825, ancora un bianco, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Messico Joel Robert Poinsett, posò lo sguardo su quel fiore.
Ormai il lavoro sporco era stato fatto da altri. All’ambasciatore rimaneva un compito più ludico, portare qualche seme nel suo giardino in Carolina.
Da qui la propagazione in America e l’idea di lanciarla come pianta natalizia. L’idea venne ad un emigrante tedesco in America, Paul Ecke il quale iniziò la produzione e la commercializzazione. Il figlio continuò l’opera del padre giocandosi la carta vincente della sua vita, l’ esposizione della Stella nelle vetrine dei migliori negozi Sunset e Holliwood Boulevard a Los Angeles.
Il successo fu da vera super star. Dal 1950 in poi la Stella di Natale conquistò anche l’Europa, e da allora la sua fama non si è più oscurata. Naturalmente in onore dell’ambasciatore fu chiamata Poinsettia pulcherrima, ovvero bellissima.
Io però preferisco continuarla a chiamare Stella di Natale. Questi bianchi sempre un po' invadenti si sono arricchiti con uno dei tanti beni di un popolo massacrato. Sguazzando nelle loro ricchezze hanno dimenticato un passato scomodo.
Mi piace immaginare quella canoa, che lascia scie sulla superficie dell’acqua. Mi piace vedere qui fiori rossi recisi che l’adornano. Gli Aztechi li chiamavano Cuetlaxochiti che significa ”fiore di pelle” forse perché al tatto sembra pelle. Lo adoravano come simbolo di vita nuova in onore dei guerrieri caduti in battaglia. Il valore di quei guerrieri ancora vive più forte che mai. Un uomo è portavoce dei loro diritti, un uomo bianco, nato e accolto in sud America, un uomo chiamato Papa Francesco.
Ha affondato la sua lama in un’ umanità perduta.
E su quella lama è forgiato un monito “Fratelli tutti”.
Un’ Enciclica che ha irradiato l’intero pianeta.
Una frase semplice all’apparenza, ma con una dichiarazione ben precisa:
«Nessuno si salva da solo ...
 Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene, significa prendersi cura di noi stessi...abbiamo bisogno di un Noi che abita la Casa comune... Amicizia sociale in una comunità è apertura universale... Bene morale è sviluppo per un futuro sano».

Ecco mi piacerebbe in questo Natale storicamente così travagliato che le parole del Santo Padre entrassero in ogni casa accompagnate da una pianta di Cuetlaxochiti… accendere una candela per tutte le vittime massacrate da quegli uomini privi di un sentimento chiamato “Umanità”
Buon Natale.

Anny Pellecchia

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Achillea

Mio padre mi ha insegnato fin da piccola a guardare la natura che ci circonda come si guarda un giardino. Questo è un dono bellissimo che ognuno può far proprio.
Con la maturità questo dono l’ho definito “il terzo occhio del Dio Pan“.
Tutti possiamo guardare con i nostri occhi, ma due occhi distratti sono tristemente ciechi, il terzo occhio quello appunto del Dio Pan riesce invece a farci godere, a rimanere stupiti innanzi alla grande Madre Terra e alle sue creazioni.
Mi capita, in questo mese, ogni volta che tono a casa dal lavoro, di guardare i fiori di fine primavera spontanei al bordo dei marciapiedi.

La Natura attraverso il vento e altri espedienti riesce a trasportare talmente tanti semi da creare bouquet incredibili da far invidia ad un orto botanico .
C’è un fiore che spicca per la sua altezza rispetto agli altri in questo momento è l’Achillea nobilis. Molti dei fiori che circondano la sua bella corolla bianca sono minuti ma così ben mescolati tra di loro da farla sembrare una regina con i suoi cortigiani!  

Tutti questi fiori crescono rigogliosi nonostante lo scarico dei tubi di scappamento delle auto in coda ed al cemento caldo dove si sono impiantate.
Meriterebbero una medaglia o un quadro di un’ artista in un museo per i meriti ecologici, per arricchimento e restituzione dell’azoto al suolo e a “forme di assistenza indiretta, e imprevista, al salvataggio della diversità” (Elogio delle vagabonde, Gilles Clement)
Le larghe teste ad ombrello sono state notate dalle produzioni florovivaistiche e sono anni che ricoprono una produzione degna di nota.
L’ Achillea è diventata uno fiore campestre protagonista delle cultivar estive.
La famiglia è molto vasta, ma una sola, l’Achillea filipendulina è stata eletta per la riproduzione come fiore da taglio.
Nelle serre distese di Achillee dai fusti rigidi ed eretti circa 80 cm, sorreggono corolle ad ombrello dal diametro di 10 – 15 cm e più!
Il fiore di un bel giallo intenso porta con se anche un piacevole profumo aromatico. 
I produttori non contenti hanno colorato artificialmente le Achillee in arancio e verde bottiglia creando un bel tris di colori caldi perfetti per l’estate.
A dare più importanza a questo fiore è la caratteristica di quest’ultimo ad una facile essiccazione, cosa ben gradita al cliente finale, perché sa con certezza di avere qualcosa di non completamente finto nei vasi una volta ritornato l’inverno.
L’Achillea si presta naturalmente per composizioni floreali campestri, ma sapientemente lavorate in forma orizzontale a blocchi ordinati oppure in sfere perfette cambiano subito carattere. Questi lavori che dovranno avere una visibilità compatta da ogni lato che si guardi sono molto moderne, e indicate particolarmente per arredamenti moderni ed eleganti oppure per sale conferenze, cerimonie, uffici.

Sono lavori in cui ogni fiorista deve mantenere disciplina e rigore altrimenti si perde l’effetto voluto.
Chiaramente l’ordine viene associato alla pulizia. Un lavoro netto e chiaro è rassicurante.
Il lavoro romantico, invece ci porta automaticamente in un mondo più ingombrante fatto di favole e di tutti gli esseri fantastici che lo popolano!
Molti anni fa accompagnai mio padre ad allestire una chiesetta di campagna, mentre lo staff montava il matrimonio, mio padre non era soddisfatto, era inquieto, ci mancava qualcosa, mi diceva. Eppure al mio sguardo, le Rose, i Lilium longiflora, i Delphinium erano bellissimi, a me sembrava tutto perfetto.

Invece mi disse: «Ho visto laggiù un campo di fiori bianchi, vai e raccoglimene più che puoi».
Mi avviai così dove mi aveva indicato, mi inoltrai in quel verde cotto dal sole, dove una distesa di Achillee ondeggiavano ad ogni mio passo.

Un silenzio immenso mi avvolgeva, ed era come un mondo inverso dove le nuvole fatte di fiori erano in terra e un cielo turchino come il mare mi sovrastava. Mi sentii proiettata in un mondo antico, e una sensazione di benessere mi invase.

Capii cosa cercava mio padre, cercava l’anima in quelle composizioni, e solo la leggerezza delle Achilee riuscì a fare un miracolo di poesia e romanticismo.

Qualche anno fa sfogliando un libro di poesie di Emily Dickinson (1868) trovai le parole esatte di quel benessere mai dimenticato.
Non ho mai parlato con Dio né visitato il cielo, eppure so dov’è, come se avessi il biglietto per entrare ».

Anny Pellecchia

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Baeucarnea recurvata

E’ fiorita finalmente la Baeucarnea del giardino. L’avevo vista anni prima nell’Orto Botanico di Portici (NA) e pur ammirandone la bellezza mi rammaricai che la nostra in giardino non avesse ancora dato il meglio di se.
Mio padre la piantò in un bell’angolo del giardino molti anni fa,ora vedendola così magnifica non posso non ricordare le sue parole: «Il giardino sarà pronto per i nipoti».
Del resto la ricchezza più grande che un uomo può lasciare in terra è un patrimonio di bellezza ai posteri. Ed ora che lui non c’è più sento fortemente questo dono lasciatomi da mio padre.
La Baeucarnea è fiorita appena un anno dopo la sua scomparsa, ma quante carezze, quanti sguardi, quanta ammirazione ha avuto questa pianta dal suo amorevole giardiniere.
Il tronco rigonfio nella parte basale ormai è una vera scultura ai miei occhi, ma in realtà serve alla pianta per immagazzinare acqua. Vive benissimo in Sud Italia dove le estati calde e secche assomigliano sempre di più a quelle del suo paese natale, il Messico.
Così mentre la limonaia fa fatica a superare l’estate, la Baeucarnea è esplosa come un fuoco d’artificio con una fioritura davvero spettacolare.
Tre fiori a forma di pennacchio svettano in cima al ciuffo di lunghe foglie. Grandi vespe e api banchettano felici nell’intricato giallo, mentre io rimango incantata ad ammirare quel meraviglioso fermento di vita.
Mio padre soleva raccontare ai clienti in negozio l’arrivo di questa pianta in Italia.
La prima partita di Beucarnee arrivò a Napoli negli anni ‘70.
All’epoca la famiglia De Luca deteneva l’import export di piante dal Sud America. Molti grossisti, produttori, fioristi e addetti ai lavori furono invitati per la presentazione della Beucarnea recurvata chiamata anche Nolina recurvata.
Mio padre era presente quel giorno, bella era bella, una cosa non convinceva il nome. Il primo, Baeucarnea, un nome troppo difficile da ricordare, il secondo Nolina recurvata un nome che non funzionava per lanciarla sui mercati nazionali.
La pianta della felicità, ovvero la Dacaena era stato un vero e proprio boom in Italia, il nome era tutto!
All’epoca non c’era il divieto di fumo nei locali. Molti uomini e donne fumavano tanto che l’aria ad un certo punto diventava irrespirabile. Qualcuno tra gli astanti si alzò in piedi e scherzando disse : «Qui non si respira più! Chiamiamola Pianta Mangiafumo»
Tutti risero di gusto e applaudendo si decise per quel buffo nome! Del resto poteva funzionare.
Il tronco bombato poteva diventare nell’immaginario collettivo un contenitore di fumo!
Dopo 50 anni la Baeucarnea porta con sé il suo soprannome dato da un gruppo di uomini pionieri nel commercio delle piante!
Ancora oggi qualche cliente mi chiede se mangia davvero il fumo. Tutti i fumatori potranno continuare ad affumicare i loro polmoni, la Baeucarnea potrà solo fargli compagnia senza essere danneggiata.

Ma si sa le piante in ambienti chiusi contribuiscono ad ossigenare l’aria assorbendo gas nocivi provocato dalle sostanze nocive contenute in vernici, pitture, colle, smalti ecc.

Nel 2020 la Baecarnea è una pianta comune, si trova facilmente a buon prezzo sugli scaffali dei supermercati e grandi magazzini, ma se si vuole un esemplare unico bisogna rivolgersi a negozi di fiori specializzati o ai garden center.
Avere un esemplare in ufficio o in casa da subito prestigio, non c’è dubbio, bisogna solo ricordarsi di essere moderati nelle innaffiature e regalare alla pianta nei mesi caldi una vacanza fuori dalle mura domestiche.
Le vespe hanno finito di banchettare, la sera sta scendendo sul giardino, un silenzio sacro viene adornato dal frinire dei grilli.
Apro la pompa e inizio a rinfrescare il giardino proprio come faceva mio padre quando tornava dal lavoro.
Un passaggio di consegna per tutelare questo mondo incantato dove, insieme alla mia famiglia, in un tempo chiuso in una goccia d’acqua, siamo stati felici.

Anny Pellecchia

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