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Protea, fiori di fuoco

«Ma cos’è un carciofo?», mi chiede incuriosita la cliente?

«Certo che no », le rispondo, prendendo tra le mani il grande fiore rosa e bianco, «è una Protea, fiore simbolo del Sud Africa. Lo accarezzi è morbido come un gattino.»Sorridendo glielo porgo per farglielo ammirare.

«Che colori, com’è soffice!» risponde la cliente estasiata e meravigliata al tempo stesso.
La cliente decide l’acquisto e trionfante esce dal negozio!
La Protea è un fiore di lunga durata, per un mese mantiene i bei colori vivaci dei coriacei petali, molti la essiccano per magnifiche composizioni semprevive. Se ne contano ben 81 varietà, una più bella dell’altra! Chiunque la riceve in regalo ne rimane entusiasta per la maestosità ed esoticismo che la caratterizza.
La Protea in Sud Africa sua terra d’origine è simbolo di coraggio, diversità, originalità e cambiamento. Risistemo i fiori nel vaso.
Rivedo nei ricordi Maria. Era appena uscita dal gate all’aeroporto di Roma, in una mano trascinava una grande valigia nell’altra un fascio di Protee. Tornava da Città del Capo, mi aveva chiesto di andarle in contro, non era né triste né felice, era come se fosse uscita da una palla di vetro dove noi tutte amiche l’ammiravamo come fosse un’eroina.
Tutto iniziò una calda giornata d’agosto. Nella baia di Positano era arrivato un enorme panfilo. Tutti in paese ammirandolo si chiedevano chi fosse mai arrivato. Maria ed io essendo della Costiera sin da piccole li guardavamo divertite quasi come fossero giocattoli sull’acqua. Eravamo più interessate a guardare le colorate “Pezze di Positano” i vestiti tipici della Costiera Amalfitana. Mentre Maria mi mostrava una camicia di garza stropicciata le caddero gli occhiali da sole. Un signore in jeans, t-shirt e ciabattine di gomma, li raccolse e gentilmente glieli porse. Era accompagnato da due signore più anziane, parlavano inglese. Ci chiesero informazioni sul paese, erano così cortesi che la conversazione continuò gradevolmente tra gli stretti vicoli di Positano. Una volta giunti alla marina gli stranieri ci invitarono a bere qualcosa di fresco. Era vacanza tutti eravamo rilassati e sereni. Prima di accomiatarci, il signore ci chiese se avevamo piacere di essere loro ospiti a cena. Maria ed io ci guardammo, perché no, ci dicemmo e così accettammo. Bene, disse l’uomo, appuntamento alle 20 al molo, il mio steward verrà a prendervi. Stasera ci sarà un party a bordo, spero vi divertirete e così dicendo indicò con l’indice il panfilo a largo!
John era il suo nome, veniva dal Sud Africa, era un business food international man, proprietario di 50 aziende di frutta, verdura, succhi, cibo in scatola, allevamento di bestiame, e animali della savana. I suoi prodotti, a noi così familiari, sono su tutti gli scaffali dei supermercati del pianeta. John non era solo uno degli uomini più ricchi della terra, era anche gentile e semplice nei modi, qualunque donna ne sarebbe rimasta affascinata e fu così che Maria iniziò a frequentarlo. Prima di partire John le chiese semplicemente di vivere con lui in Sud Africa. Certo Città del Capo non era proprio dietro l’angolo, ma rinunciare ad una proposta così era davvero difficile. Maria partì, promettendomi di mandarmi foto della flora locale e tenermi informata. Le foto di lei a cavallo nelle immense distese naturali di Cape Floreal Kingdom erano un sogno, così come il grande deserto fiorito di Namakwland. La grande biodiversità che mi raccontava e fotografava mi lasciavano senza fiato. Viaggiavo con lei attraverso le immagini. Cespugli enormi di Protee, varietà: Nerifolia, King, Leoucospermum, si potevano ammirare a migliaia, per non parlare delle molteplici specie di animali, antilopi, struzzi…
Ai miei occhi tutto sembrava un film, eppure ad un certo punto Maria decise di ritornare a casa e lasciare per sempre il gentile John. Sai mi disse-Io non sono forte come un fiore di Protea. Questi fiori nascono dal fuoco, perché si riproducono quando ci sono gli incedi, le fiamme bruciano le foglie del suolo che soffocano i semi, facendo spazio alle nuove gemme. Io sono un fiore di zagara, semplice profumato che sboccia con un semplice raggio di sole… Non ho la capacità di vivere in realtà così diverse e situazioni estreme. Non voglio vivere in una villa blindata, uscire con la scorta, sapere che tante persone si odiano per questioni razziali…- e così dicendo mi abbracciò. Sentii per la prima volta il profumo dolce ma pungente delle Prootee.
Maria me le porse «Queste Protee non le hai in negozio! Sono per te colte appena tre giorni fa! »
La Costiera Amalfitana ci accolse tra le sue curve morbide e sinuose, i mille raggi di sole brillavano nel mare, tutto era tornato al suo posto.
“L’aria in Africa ha un significato ignoto in Europa: piena di apparizioni e miraggi, è, in un certo senso, il vero palcoscenico di ogni evento.” ( Karen Blixsen)

 

Annie Pellecchia

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“Ling Zhi” il fungo dell’immortalità

Lavorare in un negozio di fiori non è mai monotono, tanti sono i colori che riempiono il mio sguardo, tante le varietà di piante e fiori di cui ogni giorno devo prendermi cura. Quest’anno poi è arrivato per la prima volta nella storia del negozio il fungo Ling Zhi! Che meraviglia sembra un gioiello! Non ha niente a che vedere con l’aspettativa occidentale di grandiosità e fastosità…il cliente lo capirà?

Accidenti quanto costa mi sono detta! Ho chiuso gli occhi e ho comprato un carrello intero!

Naturalmente hanno avuto il primo posto in vetrina. Niente da dire, il nuovo arrivato ha davvero la tipica eleganza orientale, in Cina è conosciuto con il nome di Ling Zhi, mentre in Giappone è chiamato Reishi.

Gli orientali con la loro grazia riescono a rendere “arte” anche un fungo! Posso dire che ha la stessa eleganza di un bonsai, il Reishi è un fungo cosiddetto a “mensola “dunque cresce orizzontale attorno ai tronchi degli alberi. Attraverso il mio sguardo occidentale, prende le sembianze quasi di una piccola pagoda o tempietto!

La superfice del fungo è dura, coriacea, liscia, di colore rosso- marrone intenso, l’orlo è giallino.

La cura al contrario del Bonsai è davvero facile. Il fornitore che ne possiede uno da anni lo cura spruzzandolo d’acqua ogni tanto e se la superficie rimane macchiata dal calcare lo lucida amorevolmente con batuffolo d’ovatta imbevuto da una goccia d’olio d’oliva!

La letteratura cinese e giapponese è ricca di richiami al Reischi. Spesso è raffigurato su pitture e suppellettili. Lo si appende ancora oggi come amuleto sopra la porta di casa.

Il pensiero taoista lo considera un elisir di lunga vita. In effetti studi in vitro hanno rilevato molte proprietà salutiste molte ancora da determinare, come coadiuvante nel trattamento di importanti malattie.

Il fungo magico in oriente gode ancora oggi di una vera venerazione.

Nel segno cinese “Ling” viene tradotto come “potenza spirituale o dell’anima”, mentre il segno “Zhi” era usato per indicare le sostanze utilizzate nella preparazione degli elisir di lunga vita.

Il raggiungimento dello stato di immortalità rientrava tra gli obbiettivi principali non solo della cultura occidentale ma anche di quella orientale! Col passare del tempo i due segni si unirono assumendo il significato che fa riferimento al fungo della saggezza e dell’immortalità.

Ho bisogno di sapere altre notizie sul Ling Zhi, decido di chiamare la professoressa Valeria Varriano, docente di lingua cinese presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale!

La mia richiesta viene velocemente esaudita qualche giorno dopo con l’arrivo di una cospicua quantità di materiale!

Accipicchia, il fungo Ling Zhi è parte integrante della mitologia cinese e racconti popolari trasmessi oralmente attraverso i secoli! Non avendo quindi una prima storia scritta il Ling Zhi è giunto fino ai giorni nostri dall’epoca imperiale in innumerevoli varianti. Basti pensare che solo su Amazon Cina se ne trovano cinquanta versioni tra narrativa, fumetti, film, serial televisive e giochi elettronici!

Una cosa mi è chiara, in questa marea di versioni, il fungo Ling Zhi è la panacea miracolosa che salva gli uomini nelle avversità estreme della vita!

Forse la storia più amata che ha affascinato per secoli lettori e scrittori dentro e fuori i confini cinesi è “La leggenda del Serpente Bianco”

Storia d’amore tra un uomo e uno spirito serpente dalle fattezze di una bellissima donna. Quest’ultima di nome Suzhen, ogni notte all’insaputa dell’amato ritorna ad essere un serpente. Una notte però il marito svegliandosi d’improvviso vede il serpente nel letto e per lo spavento muore. Suzhen, straziata dal dolore sfida le autorità del cielo per procurarsi il Ling Zhi fungo che restituisce la vita. Mille saranno le peripezie che Suzhen dovrà affrontare per impadronirsi del fungo magico, unica speranza per salvare l’amato marito. Il fungo infatti cresce sulla vetta più alta della Cina, il monte Kunlun. Una vetta sferzata da venti impetuosi, con estreme escursioni termiche, che inibiscono qualsiasi forma di vita.

E’ difficile accedervi, dei guardiani e dei mostri attendono i viaggiatori a ciascuno dei nove piani che conducono alla vetta.

Il lieto fine come tutte le storie eroiche è assicurato…

Intanto i clienti rimangono appiccicati alla vetrina carichi di meraviglia e curiosità! Le domande sono tante, ed io proprio come un cantastorie ogni volta racconto la storia del Ling Zhi!

“Io trasmetto non invento nulla: credo nel passato e lo amo” (Confucio)

Si ringrazia la Gent.ma Prof.ssa Valeria Varriano per il prezioso materiale e foto fornitoci.

 

Anny Pellecchia

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Vischio - Auguri per il nuovo anno

Molti sono i venditori di vischio durante le festività natalizie, ma il nostro fornitore ufficiale è sicuramente Rocco e viene una volta l’anno dalla Basilicata con il suo ricco carico di Viscum album. Rocco è un uomo che ha vissuto talmente tanto in montagna che è un tutt’uno con essa! Ha un corpo agile come un gatto selvatico e gli occhi neri assomigliano a quelli dei lupi dei boschi appenninici. Viene accolto in magazzino con tutti gli onori. Per me rimane sempre un eroe; del resto per raccogliere il vischio sulle cime degli alberi si rischia davvero l’osso del collo.

Come tutti sanno, il vischio è una pianta semiparassita che vive in parte a spese di una pianta ospite, in cui affonda le sue radici specializzate, e in parte grazie al nutrimento prodotto dalla sua stessa clorofilla. Vederlo in natura non è difficile, soprattutto in inverno, quando gli alberi sono ormai spogli delle loro foglie. Basta allontanarsi dalle città, una passeggiata fuori porta, alzare il naso all’insù ed ecco scorgere i grandi cespugli tondeggianti appollaiati sui rami di querce, castagni, pioppi, abeti, pini, meli, peri ecc. E pensare che è propagato dagli uccelli! Questi ultimi infatti sono ghiotti delle bacche bianche e carnose. A fine pasto strofinano sulla corteccia i semi vischiosi rimasti nel becco. Devo confessare che anch’io ho cercato di far appiccicare i semi delle bacche agli alberi di casa, ma senza successo. Mi mancavano sicuramente le ali per posizionarli ad altezze migliori!

Da noi il 31 dicembre è il giorno del vischio per tradizione. In negozio è una vera festa! Rami di ogni dimensione sono pronti per essere venduti. Grandi fasci per feste in casa e nei locali, ma anche piccoli fascetti da passeggio per chi deciderà di brindare in piazza e per le strade della città. Li confezioniamo senza cellofan o altri fronzoli, giusto un fiocco rosso e un gancio per appenderli il più alto possibile. Nessuno rinuncia al fatidico bacio sotto il vischio! La bacca perlacea e appiccicaticcia è beneaugurante e propiziatrice per lunghi legami di amicizia e d’amore. È una pianta con una forte sacralità, è la pianta più vicina al cielo, più vicina a Dio.

Il Vischio porta con sé mille storie e leggende. Plinio il vecchio, 2000 anni fa, già ne parlava nel “Naturalis historia”: aveva visto i Druidi, così venivano chiamati i maghi della Bretagna, che usavano il vischio nei loro riti sacri. Erano convinti che la pianta avesse poteri miracolosi nella guarigione di molte malattie ed era considerata un ottimo antidoto contro malefici e sortilegi. Era la divinità celeste che sceglieva quale albero dovesse accogliere la pianta e automaticamente il bosco diventava un luogo sacro.

Lasciando i paesi freddi del Nord Europa raggiungiamo il Sud Italia dove Virgilio rende protagonista il vischio in una delle pagine cruciali dell’Eneide. Questa volta è una maga, la Sibilla cumana, a spiegare ad Enea come proseguire il suo difficile viaggio. Quando si entra fisicamente nell’antro della Sibilla a Cuma non si può far a meno di rivivere quei momenti tragici letti sui banchi di scuola. Enea è disperato, senza patria, stanco. È inginocchiato ai piedi della veggente. Vuole un indizio, un aiuto, una speranza, un conforto per scendere nel buio Tartaro. Vuole rivedere suo padre, Anchise, ancora una volta. Enea aveva fatto di tutto per salvare anche il vecchio padre dalla distruzione di Troia. Nella fuga rocambolesca l’aveva caricato sulle sue spalle, ma una volta arrivati sulle rive della Sicilia il genitore era morto stremato dagli eventi. La storia di ieri si ripete nella storia di oggi con la stessa tragicità. Tutta questa gente, che approda sulle nostre spiagge, racconta storie non tanto diverse dal racconto epico virgiliano. La differenza sta nel fatto che allora una città, Troia, fu distrutta e massacrata, oggi intere nazioni sono flagellate da guerre civili e d’interesse.

Se Enea nella sua disperazione aveva una possibilità di conquista territoriale per sé e per la sua gente, oggi questo esodo biblico, di cui siamo inerti spettatori, non può aspirare a nessuna “Nuova America”, perché entra in una Europa che non ha né i mezzi né la volontà di affrontare una realtà così complessa.

Si parla di cattive politiche di accoglienza e di integrazione, di difficoltà economiche, ma mi chiedo, perché non si parla di pace? Perché non ci sono uomini di buona volontà che si impegnano per riportare la pace nelle terre di questa povera gente?

Siamo tutti davanti al buio del Tartaro. Tutti abbiamo paura di attraversalo perché sappiamo dell’inferno che ci attende se non si troverà una soluzione. “ …Non puoi scendere nei segreti della terra se prima dall’albero non hai staccato il virgulto dalle foglie d’oro”. La Sibilla, attraverso le sue indicazioni, mette nelle mani di Enea, viaggiatore sperduto nelle tenebre, una pianta luminosa il Vischio, che gli servirà da lampada per rischiarare i suoi passi.

Tutti noi sappiamo l’epilogo della storia: Enea rivedrà il padre che gli profetizzerà la nascita di Roma. Ecco, mai come quest’anno vorrei che il Vischio si appropriasse di un nuovo significato. Che portasse la luce della ragione, della pietas a chi ha il potere di cambiare davvero le cose. Oltre il buio c’è la luce, la vita per un nuovo inizio. L’unica Terra promessa oggi è la Pace e la fratellanza tra i popoli.

Auguri di Buon Anno a tutti!

Anny Pellecchia

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Copyright © Ugo Pellecchia & Il Floricultore n. 12, Dicembre 2013