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Schiaccianoci, il decoro più in voga per un Natale fatato

Annie ci conduce nel cuore della fiaba che ha per protagonista un soldatino di legno divenuto l’addobbo natalizio più ricercato del momento. Un consiglio: sedetevi e leggete con calma, non prima di avere cliccato play sulle note del “Valzer dei Fiori” di Tchajkovskij

l 18 Dicembre 1892 il teatro Mariinskij a San Pietroburgo mise in scena “Lo Schiaccianoci” di Tchajkovskij, un’opera destinata ad entrare nella storia dei balletti più amati di tutti i tempi.

Nel grande salone del palazzo reale di Re Cioccolato, nel Regno dei dolci, lo Schiaccianoci viene ricevuto dalla fata Confetto e, dopo aver raccontato le sue prodezze nella battaglia contro Re Topo, i sudditi iniziano a danzare sulle note del “Valzer dei Fiori”.

Le meravigliose scenografie, fuse nei passi e nelle coreografie dei danzatori, accompagnano ieri come oggi gli spettatori in un sentiero fatato, facendoli sentire parte della storia.

Forse sono stati proprio gli splendidi allestimenti natalizi dello Schiaccianoci a suggerire anno dopo anno agli spettatori di tutto il mondo di abbellire le proprie case con atmosfere magiche durante il periodo della festa più amata. I colori della fiaba sono i classici: rosso, verde, blu e oro. Verde è il colore della fortuna e della speranza, il rosso con l’oro indicano la regalità, il blu la fedeltà e la verità.

Il mito dello Schiaccianoci

La leggenda dello Schiaccianoci ha origini antiche. In verità non se ne conosce l’origine precisa, tanto che oggi ne vengono proposte più versioni. Tra le più popolari c’è quella secondo cui siano stati gli abitanti di una regione germanica posta al confine orientale che per protestare contro l’oppressione decisero di costruire un soldatino in legno il cui unico scopo era quello di rompere le noci. A creare l’iconico modello tradizionale fu, nella seconda metà dell’Ottocento, il falegname Friedrich Wilhelm Füchtner. Pare che si sia ispirato alla versione della storia di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Schiaccianoci e il re dei topi, edita nel 1816. Alla stessa fiaba si rifece il musicista russo Pëtr Il’ic Tchajkovskij, per la creazione, nel 1891, del suo Lo schiaccianoci. Gli esperti in verità precisano che il celebre balletto abbia avuto come riferimento preciso la versione francese, edulcorata rispetto all’originale, Histoire d’un casse-noisette, di Alexandre Dumas padre.

Un inno alla bontà

Da allora ogni famiglia d’Oltralpe la notte di Natale posiziona il proprio Schiaccianoci sotto l’albero o vicino al camino. La favola ha mutato il soldatino in un simbolo. È un elogio all’infanzia, perché solo i bambini riescono a guardare il mondo con dolcezza e innocenza, con l’altruismo e la bontà sconfinata di chi dona senza chiedere nulla in cambio.

Solo negli ultimi anni, però, la diffusione e la distribuzione in larga scala dello Schiaccianoci – anche tra le più note influencer a livello globale – lo ha reso un oggetto natalizio di moda universale. A tal punto che sono tra gli addobbi più ricercati del momento. Se ne trovano di tutte le misure, colori, materiali. Anche nel mio negozio di fiori è entrato un grande Schiaccianoci. Me ne sono innamorata appena l’ho visto, a 50 anni suonati! Col suo sorriso dà il benvenuto a tutti i clienti, elegantissimo con la sua bella giubba rossa e il cappello nero, ma ne abbiamo anche di piccoli da allegare come decoro a piante, fasci natalizi, o a forma di candela per simpatici centrotavola.

La riconciliazione

Devo ammettere che per me, donna del Sud Italia, fino a pochi anni fa lo Schiaccianoci era rinchiuso in una stanza buia dei ricordi. Non posso negare che quelli tradizionali di legno mi incutevano un po’ di paura, tanto che uno regalato da amici tedeschi negli anni ‘70 fu relegato in cantina.

Forse proprio come Marie (protagonista della fiaba) e come tutti i bambini credevo che nulla è come appare e che tutto può accadere: era del tutto normale che le bambole prendessero vita durante la notte.

Da quei lontani anni ’70 ho fatto pace col soldato di legno, così anche una noce dura come la mia testa è stata rotta, come tradizione teutonica vuole.

Ma forse spesso si ha paura stupidamente solo delle diversità che non appartengono al proprio quotidiano.

Lo Schiaccianoci come tutte le belle tradizioni si è fusa con quelle del Sud Italia e chissà forse il falegname Füchtner con il suo schiaccianoci diventerà una nuova presenza nel presepe napoletano. Buon Natale a tutti! 

Annie Pellecchia

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Kokedama, giardini sospesi su un mondo di grazia

Una visita, un libro e una vecchia amicizia fra il padre Ugo e un frate sono gli elementi che innescano il nuovo “viaggio” di Annie, sempr ealla ricerca dello spirito più autentico della Natura.

L’ anziano frate entrò in negozio con un pacchetto tra le mani. Alzai lo sguardo e andandogli incontro lo abbracciai sorridendo. Fra Vittorio mi pose tra le mani il dono: « È tuo, sono vecchio ormai, voglio che ritorni a casa di Ugo, me lo regalò tuo padre tanti anni fa». Stupita aprii il pacchetto. Era un libro intitolato “L’art du Bouquet au Japan” che recava questa dedica: “A Vittorio, mio migliore amico e artista, dopo aver avuto elogi per l’ottimo risultato dell’addobbo del Sepolcro”, Napoli 1966. Sfogliai il volume e una carrellata di immagini accarezzò il mio cuore. L’amore per Madre Natura aveva legato il Frate e mio padre per una vita intera. L’Oriente e l’Occidente nei due amici si erano mescolati gioiosamente. Raccoglievano entrambi rami, foglie, pietre, tronchi, radici, ne studiavano le forme per realizzare meravigliose scenografie.

La bellezza dell’essenzialità

Mio padre era molto affascinato e incuriosito dall’arte dell’Ikebana e di tutto ciò che proveniva dal Giappone. Negli anni ’60-’70, proponeva, spiegava, creava su di un Kenzan (poggia fiori simile ad una spazzola metallica) il triangolo “cielo-terra-acqua”, base dello stile Ikebana. «Il Triangolo, la figura perfetta, polivalente, sempre uguale e mutevole», diceva entusiasta giocando con i suoi elementi floreali. Quando poi versava l’acqua nel piatto dove il Kenzan era adagiato, ecco che innanzi al mio sguardo di bambina per davvero si materializzava un piccolo mondo di grazia e  serenità.

Quell’armonia fatta di Natura era una costante tra mio padre e Fra Vittorio. La preghiera, come la Natura, ha linee semplici. Per mio padre invece la bellezza dell’essenzialità fu il metro costante dei suoi lavori.

In armonia con l’universo

Mano nella mano col frate gli mostrai tutti i fiori e le piante del negozio come solevo fare ogni volta che veniva a trovarmi, conservando per ultima la composizioneche desideravo mostrargli! «Hai mai visto un Kokedama?», gli domandai divertita. Fra Vittorio lo guardò attentamente: «Per assonanza Kokedama-Ikebana direi che si tratta di provenienza giapponese!». Risi di gusto: «Giusto! Kokedama significa “sfera di muschio o perla di muschio”. La particolarità di questa tecnica sta proprio nel contenitore. Una sfera fatta di terra, argilla, ricoperta di muschio e legata con un filo di alluminio o nylon. Un impasto che si adatta a qualsiasi pianta. Piace molto al pubblico. «Te ne regalo una, da parte di Ugo, so che gli avrebbe fatto piacere!». Gli posi la sfera tra le mani, il Kokedama accoglieva una deliziosa Tradescantia rosa. «Sai», proseguii, «ho letto che questa idea trova origine dalla fusione di diverse tecniche ancestrali. Nasce da un’esigenza dei giapponesi che, pur vivendo in appartamenti sempre più piccoli, non vogliono rinunciare al loro forte amore per la Natura». È sempre più difficile per loro disporre della stanza tradizionale, la cosiddetta Tokonoma (stanza della bellezza), dove poter ammirare il cambio delle stagioni appendendo un quadro verticale, Kokemono, e inserendo di fronte una composizione Ikebana o Bonsai (pratica quest’ultima che richiede cure non sempre compatibili con il tempo a disposizione nella società moderna). Così, facendo di necessità virtù, ecco che in Giappone sono proliferati negozi di Kokedama. La sfera di muschio, poggiata su di un piatto, o su di un legno laccato, o un treppiede di bamboo, oppure sospesa in aria con fili, ha fuso contemporaneamente: decorazione, facilità di manutenzione, vicinanza alla Natura.

Questa ennesima japomania come uno Tsunami ha invaso tutto il pianeta. Per un occidentale è una moda green, per un orientale è molto di più.

Fra Vittorio accarezzava il suo Kokedama: «San Francesco è stato un rivoluzionario in occidente, il legame d’amore con Madre Natura va rispettato, venerato, tutelato. Conservare questo legame è alla base per entrare in armonia con l’intero universo! Annie, grazie per la tua amicizia», e così dicendo uscì.

 

Annie Pellecchia

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Muscari, leggiadri fiori blu

Leggiadri fiori di un blu intenso o rozzi cipolloni amarognoli? I Muscari sono l’una e l’altra cosa, ma in ogni caso saranno le amorevoli cure a farli crescere copiosamente perché possano allietare le giornate.

Ho bisogno di camminare, ora più che in passato, ho bisogno di immergermi nella natura attraverso i sentieri che qui dalle mie parti chiamano mulattiere, un intricato dedalo di stradine acciottolate o in terra battuta che nel passato univano come un filo d’Arianna tutti i paesini della Costiera Amalfitana. La dolce brezza primaverile mi accarezza il viso, mi allontano sempre di più dai rumori della civiltà, da fiumi di parole inconsistenti, dai ritmi di vita uguali giorno dopo giorno.

«È strano, ma per la prima volta nella mia vita mi sento inadeguata al mondo di oggi». Ecco questa frase la pronunciai qualche giorno fa in negozio di fronte ad un’anziana cliente che aveva appena acquistato una primula. La signora, senza scomporsi, mi rispose che molti vivono lo stesso disagio. Era per questo semplice motivo che aveva scelto una primula gialla, voleva che nella sua casa entrasse una luce, che i suoi nipotini, attesi a pranzo di lì a poco, si nutrissero non solo del cibo da lei amorevolmente cucinato ma anche di quel giallo-primula e dei suoi sorrisi di nonna. E poi aggiunse: «Non abito vicino, sa, ma ho deciso di fare una passeggiata e allungarmi fin da lei, perché qui in questo negozio c’è anima!».

Soavi melodie floreali

Anima dal greco ànemos, soffio, vento. È per questo che mi sono spinta fin qui nella natura, per rianimare quel soffio vitale, poetico che per me è ragione di vita. Un carrubo dalle lucide foglie ovali apre il sentiero, ce ne sono parecchi in questa area geografica, meravigliosi esemplari con i loro tronchi centenari si alternano ad alberi di ulivo. Le piante come in una perfetta sinfonia si susseguono l’un l’altra, ognuna con il proprio timbro e colore, il viburno risuona di echi leggere, adagio di trifogli in fiore, ombre cespugliose di Laurus nobilis, bordone di cupi alberi di leccio cedono il passo al risonante accordo di una colonia di querce. Ed è in questo “climax musicale” di semioscurità che lievemente, in dolce progressione, spunta un piccolo leggiadro Muscaro blu. Quant’è breve la sua fioritura: il primo caldo lo farà svanire per ritornare ancora come una promessa d’amore l’anno che verrà.

Fiori e simpatia, connubio perfetto

Mi ha sempre attratto questo piccolo fiore, un mini grappolo d’uva capovolto, dal blu intenso tra i più belli in natura. Al Mercato dei Fiori, dove mi approvvigiono solo da pochi anni, si trovano graziosi mazzolini di queste meraviglie turchine, alle quali non so resistere! Li compro per pura gioia, non mi importa se li venderò o meno, saranno miei finché qualcuno non li vorrà comprare. Se appassiranno in negozio poco importa, sapranno di essere stati celebrati, fotografati, raccontati ad ogni cliente.

In commercio si possono trovare anche in vaso. Regaleranno la magica sorpresa di vivere la fioritura in casa o sul davanzale.

Mario, un gentile cliente napoletano trapiantato a Salerno, ogni volta che passa mi saluta, ammira le piante, le fotografa, mi tagga! È impossibile non regalargli un fiore per ricambiare la sua gioia innata. Così anche un vasetto di bulbi di Muscari un giorno finì tra le sue mani: «Conosci i Muscari? Vedrai, ti conquisteranno!», gli dissi salutandolo.

In negozio vive un detto antico che spesso usava mio padre: «Dove c’è simpatia non c’è perdenza!». Non esiste solo la legge del “dio denaro” ma anche quella della cordialità, del sorriso, della chiacchera, dell’omaggio disinteressato che ti cambia la giornata e ti accarezza l’anima. Mario, da buon napoletano, mi mandò dopo poche ore un messaggio: «Anny, ma i Muscari sono lampascioni (cipolle)?». Accipicchia, non ci avevo mai fatto caso! Effettivamente in certe aree meridionali i Muscari di alcune specie (ad esempio M. pyramidale, M. comosum ecc.) vengono cotti e mangiati. Lo richiamai immediatamente: «Mario, per piacere, dammi soddisfazione, falli fiorire prima e poi te li mangi!!!», dissi scherzosamente. Infine aggiunsi: «E poi domani è domenica, per la genovese questi non vanno bene!». Così tra una risata e i Muscari in salvo, chiusi la saracinesca del negozio. Un’altra giornata era finita, calava il sipario sul nostro meraviglioso mondo di fiori. Pronto a riaprirsi l’indomani.

Annie Pellecchia

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Monstera, maestra di saggezza

Il mondo vegetale dialoga con noi, ma solo se sappiamo ascoltarlo. È quel che Annie fa da anni con la maestosa Monstera deliciosa (Philodendron pertusum) abbarbicata sulla serra del suo giardino. Le foglie più anziane, giganti e placide, sussurrano un invito a non lasciarsi sopraffare dalle avversità.

 

In un tempo perfetto di molte estati fa,  il giardino di casa era in pieno fermento. La mattina gli operai pulivano e tagliavano le fronde verdi per gli allestimenti floreali da preparare il giorno seguente. Il pomeriggio, invece, noi bambini, dopo il mare, instancabili, organizzavamo giochi all’aria aperta. Il giardino era un vero campo di battaglia! Corse, grida, risate, ginocchia sbucciate esibite come trofei di coraggio, senza versare mai una lacrima.

I nascondigli erano tanti, ma quello che preferivo era la maestosa pianta di Monstera deliciosa (Philodendron pertusum), abbarbicata sopra la serra non avendo trovato un albero a cui appoggiarsi. Le grandi foglie grazie alle caratteristiche fenditure erano perfette per controllare le mosse dell’avversario senza essere vista. Come una governante affettuosa, riusciva per pochi minuti a fermare il mio moto perpetuo incantandomi davanti al suo fiore che improvvisamente, nel momento più caldo dell’estate, sbocciava, simile a quello dello Spathiphyllum ma più carnoso e dall’odore pungente e poi dal frutto a forma di spiga di mais. Lo guardavo incuriosita, mia madre d’intesa con mio padre mi tenne sempre nascosta la commestibilità.

La magia della genesi

Una volta rinfrescati e degni di essere riammessi in casa, uno tra i miei passatempi preferiti era quello di sfogliare ilibri della biblioteca di mio padre, ricchi di immagini di fiori, piante e animali di tutto il mondo. Un giovane David Attenborough ci erudiva sulla riproduzione di questa prodigiosa pianta, che può avvenire sia attraverso le radici che attraverso il suo fiore. Quest’ultimo, una volta maturo cade in terra. I semi dal pistillo attecchiscono al terreno. Un piccolo germoglio fa una rotazione di 360°alla ricerca di un appiglio. Ha un tempo limitato, se non vi riesce in pochi giorni muore.

 Tradizioni e cambiamenti

2022, la grande Monstera è ancora lì nello stesso punto. Attorno tutto è cambiato, il silenzio ha avvolto il giardino. Ogni volta che ripercorro il viale, i miei ricordi impressi sulle grandi foglie tornano a vibrare. Ogni pianta del giardino messa a dimora da mio padre aveva lo scopo di decorare ma soprattutto ogni pianta era la chiave di volta per abbellire i lavori floreali che creava con passione e fantasia, libero da ogni schema. Le foglie di Monstera, Tetrapanax papyrifer, Strelitzia augusta, palme ecc. davano una maestosità ai lavori destinati alla chiesa da lasciare senza parole chi li guardava. Negli anni ’60-’70-’80 i Mercati dei Fiori non erano ancora organizzati per offrire tanta scelta come oggi. Il nostro giardino era il laboratorio per trovare tutto quello di cui si aveva bisogno. A Natale poi le foglie venivano tinte di oro, e la magia brillava nelle case dei clienti!

Nell’arte floreale le foglie delle Monstere si sono colorate con tinte fluo, non contemplate negli anni passati! È una pianta amatissima soprattutto dai più giovani e i floricoltori oggi ci deliziano con tante varietà.

Quel che le piante insegnano

Se nel 1977 ne avevano catalogati appena 20 di Philodendron, oggi si contano ben 60 generi. I botanici e gli studiosi sono sicuri che ancora altri esemplari sfuggono alla nostra conoscenza. È una corsa contro il tempo prima che la flora tropicale venga distrutta dalla deforestazione. Ogni volta che consiglio una di queste varietà a un cliente non dimentico mai di elogiare le sue foglie traforate. Mi ha sempre affascinato l’intelligenza di ogni pianta, la capacità di trasformarsi secondo l’habitat in cui vive. Le fessurazioni servono alla Monstera durante le impetuose tempeste tropicali a far passare il vento senza che si rompano le grandi foglie. Anch’io ho preso ispirazione da questa pianta: ho imparato a farmi attraversare dalle avversità della vita senza soccombervi.  Con gli anni cerco di fare continui miglioramenti, penso di essere sulla buona strada, il mio cuore conta già parecchi fori! 

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Tre grandi scrittrici ed i fiori

Ho incontrato tre donne in questi anni di vita, tre donne con le quali ho potuto conversare delle stesse passioni: la scrittura e l’amore dei fiori. Sicuramente le conoscete: Emily DickinsonMatilde Serao e Grazia Deledda.

Tre donne che attraverso la scrittura hanno trovato rifugio, sfogo, cura dell’anima, consolazione e per tutta la vita hanno tanto amato i fiori. Una grandissima differenza però divide le due italiane da Emily. Quest’ultima osannata e divulgata dal suo paese d’origine (Stati Uniti d’America – NdR) è diventata un’icona conosciuta in tutto il mondo. Matilde e Grazia, pur essendo due eccezionali scrittrici, invece non sono state degnamente celebrate e onorate, secondo il mio pensiero, sia dal mondo accademico e sia dal mondo del verde.

Matilde, regina di fiori

La penna di Donna Matilde porta con sé tutta la bellezza della Grecia che le diede i natali e tutta l’energia di Parthenope, Napoli, la città d’adozione. Matilde amava i fiori freschinella sua casa non mancavano mai. «I fiori sorriso di tutte le stagioni [...] Dio non lascia mai gli uomini senza fiori [...] I fiori sono la poesia immortale della terra [...] Il fiore è bello perché è fugace, perché è la promessa di altri fiori [...] Amate i fiori!». Slogan immortali. Era la voce nazionale che incitava ad amare i fiori e le piante, ad acquistarli, ad adornare con essi le case e la propria vita! «...Fra i pesanti velluti...fra i cupi colori delle tappezzerie orientali, voi potete mettere delle belle, delle floride, delle magnifiche piante che ravvivino tutto questo e che vi creino l’illusione della campagna, del colle, del bosco». Con il suo carattere esuberante, bacchettava i fioristi napoletani quando “ferravano” i fiori, e rimproverava le «care italiane mie, care sorelle mie... voi non sapete amare i fiori [...] voi non ne conoscete neppure i nomi più comuni!».

Matilde portava il grande cruccio di una nazione – quella italiana – distratta verso il mondo del verde: «Come si spiega che fra noi non esista né il culto né l’amore per i fiori?». Per Lei era «una armoniosa corda mancante» di un Paese che amava tutto, da Nord a Sud. Apprezzava la flora delle Alpi, dove si rifugiava spesso, i boschi degli Appennini e il profumo dei fiori spontanei sbocciati in primavera, degli orti, dei giardini, delle terrazze, dei balconi napoletani.

Grazia di nome e di fatto

Grazia Deledda invece come Emily è chiusa in un giardino. Ma il suo giardino è silenzioso, arcaico, selvatico e si chiama Sardegna. Quanta natura nei suoi scritti. Le macchie di lentisco, ginepro, le muraglie di fichi d’india, i boschi di sughero, di carrubi, i giuncheti, i bassi ontani lungo il fiume, le siepi di rovi e di euphorbie. Ne conosce il profumo, la poesia, la magia. Una magia donata al cuore di chi sa guardare.  Grazia è figlia del Dio Pan. «...La giornata dell’uomo lavoratore era finita, ma cominciava la vita fantastica dei folletti delle fate degli spiriti erranti». I suoi personaggi nell’immensità di una natura prepotente dell’isola quasi si confondono con essa. Le sue pagine sono piene di similitudini, un modo di legare la natura alle persone, come le donne nel giorno di festa con i loro abiti ricamati da sembrare un campo di fiori.

Grazia è semplicemente meravigliosa, la sua scrittura è saggia come la tradizione popolare di cui la sua antica terra è pregna. La grazia non è solo nel nome che porta, ma anche nei gesti dei suoi personaggi. Come quello di Efix, l’umile servitore di “Canne al vento” che coglie ora una violaciocca, ora un gelsomino, ora una viola, ora una margherita. Quando muore, la sua padrona, «ricordandosi che gli piacevano i fiori, spiccò un geraneo dal pozzo e glielo mise tra le dita».

L’incanto della vita

Matilde, Grazia ed Emily, non si sono mai incontrate, ma mille cose le legano l’una all’altra. Nel loro intelletto e nella loro anima scorre nettare di fiori. Soprattutto tutte e tre hanno protetto quel sogno fatto di folletti, fiori, fate, profumi, lune piene... che le ha aiutate a vivere, a soffrire, ad amare e a morire. 

Annie Pellecchia

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